La batosta c’è comunque, ma se il Governo non avesse varato il decreto salva-bollette, l’incremento dell’energia elettrica non sarebbe del 29,8% ma superiore al 45% e per il gas invece il rincaro del 14,4% sarebbe stato di oltre 30%. Sulle cause che hanno spinto all’insù i costi dell’energia pesa per l’80% l’aumento del prezzo internazionale della materia prima, oscillante da settimane tra il doppio e il triplo dei prezzi di sei mesi fa, e solo per il restante 20% dall’aumento del costo della CO2 (circa 60 euro a tonnellata), pagato dalle centrali elettriche che acquistano dei permessi di emissione sul mercato europeo ETS, European Trading System.
Da settimane si tenta di inquinare il dibattito pubblico addossando al caro carbonio e all’accelerata sulla riduzione delle emissioni (meno 55% di emissioni in 9 anni) deciso dagli eurocratici la responsabilità della spirale rialzista, mentre le concause sono molteplici. Le minori esportazioni di gas russo, un inverno lungo seguito da un’estate torrida che hanno prosciugato le scorte, l’inusuale bonaccia che ha rallentato le pale eoliche in Nord Europa e la ripresa economica globale più tumultuosa del previsto.
Questo è il secondo trimestre che il Governo interviene per alleggerire l’impatto degli aumenti delle bollette luce e gas, lo scorso luglio stanziando 1,2 miliardi e questa volta con un provvedimento che vale in toto 3,5 miliardi di euro di cui l’80% per la riduzione degli oneri di sistema (metà del costo della bolletta) e il rimanente per il dimezzamento dell’Iva dal 10% a 5% sui consumi di gas. Le coperture vengono da risorse rese disponibili dal progressivo attenuarsi dell’emergenza pandemica (riduzione del credito d’imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro, ristori, fondo per le emergenze nazionali), mentre circa un miliardo è stato reperito nei fondi destinati a finanziare la transizione energetica: 700 milioni dai proventi delle aste dei permessi di emissione di CO2 e 300 milioni dalla riduzione del fondo Mise per interventi e misure per lo sviluppo tecnologico e industriale in materia di fonti rinnovabili ed efficienza energetica. In sostanza, il sussidio energetico va in soccorso delle fonti fossili. Le stesse da cui dovremmo affrancarci secondo il piano di transizione ecologica. È forse un testacoda del Green Deal?
Per tre mesi famiglie e imprese tirano un sospiro di sollievo, ma dopo? Questa è solo una manovra tampone. Di questo passo, e la corsa rialzista non è prossima alla sua conclusione, dovremo destinare 10-12 miliardi all’anno per calmierare gli aumenti in bollette. Un’ulteriore zavorra sul nostro debito pubblico che pagheranno i figli di quella generazione che ha promesso la decarbonizzazione ma sottrae risorse allo sviluppo di energie pulite a beneficio del gas.
Un paradosso riflette il problema dei problemi: il mix di combustibili con cui alimentiamo le centrali elettriche. In Italia prevalentemente a gas importandolo e non estraendo quei 200 miliardi di metri cubi di gas che ci appartengono. Le rinnovabili coprono il 48% del mix. Nonostante ci si impegnasse a raggiungere l’obiettivo dei 70GW di potenza aggiuntiva di eolico e solare in 10 anni, bisogna fare i conti con la radicata cultura del NO che si rivolta anche contro le rinnovabili, con qualche ragione perché l’impatto visivo sarebbe imponente, e anche il limite oggettivo che un Paese non può andare avanti solo con vento e sole che danno un’energia intermittente e dispersa. Un’economia moderna ha bisogno di energia continua ad alta densità, e per ora, non riusciamo a immagazzinarla in modo efficiente per spostarla dove e quando ne abbiamo bisogno.
A parte i fossili, tra le energie pulite questa caratteristica ce l’hanno il geotermico e il nucleare. Ma l’Italia non sembra pronta neppure a sentirlo citare.
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