Secondo Freud, a 5-6 anni comincia un periodo ideale dal punto di vista dell’apprendimento. Le turbolenze della sessualità infantile entrano, per così dire, in sonno, per risvegliarsi in genere all’inizio della pubertà. I bambini sono ora in grado di concentrarsi sulla scuola e gli amici, e dimostrano grande curiosità e desiderio di imparare. Il passaggio dalla primaria alla scuola media ha sempre costituito, con l’ingresso nella preadolescenza (che a dire il vero oggi tende a essere più precoce), l’inizio di una fase che può comportare soprattutto per i maschi una crescente irrequietezza, a volte già l’esigenza di opporsi agli adulti, il desiderio di maggiore autonomia e infine l’avvento di nuovi interessi ed esigenze, come quella di uscire con gli amici dopo aver fatto in fretta e furia i compiti per casa.
Dovrebbe essere ovvio che questi cambiamenti incidono in modo notevole sul rendimento scolastico nella scuola media. In due modi: diminuiscono la motivazione, l’attenzione e la concentrazione rispetto alla primaria; ci sono più problemi di comportamento, i quali, come più volte ha sottolineato l’Ocse, danneggiano a loro volta l’apprendimento per il disturbo e la perdita di tempo che provocano. E magari hanno anche un ruolo nella maggiore tendenza degli insegnanti a chiedere il trasferimento (in una sede forse più “tranquilla”) oppure il “passaggio di ruolo”, in genere alle superiori. I cui docenti (scuole professionali a parte) spesso chiedono a quelli delle medie come fanno a resistere avendo a che fare con i ragazzi “agitati” di quell’età.
Di tutto questo, però, e della maggiore fatica di insegnare che ne deriva, di rado si tiene conto nell’analizzare i risultati della scuola media. È anche il caso del rapporto della Fondazione Agnelli che la riguarda, di recente pubblicazione. Che aggiunge alle etichette appioppate a questo triennio – “buco nero” o “anello debole” del sistema scolastico – quella di “ventre molle”. Intendiamoci: buona parte delle osservazioni del rapporto sono del tutto condivisibili; purché, però, le si applichi a tutta la scuola italiana e non solo alla scuola media.
Una delle prime imputazioni, per esempio, è questa: “Il fatto che oggi praticamente tutti gli studenti riescano a conseguire la licenza media non deve illudere, spingendoci a credere che sia indizio insieme di equità ed efficacia; è semmai una sorta di ‘condono’ alle carenze individuali per consentire il raggiungimento del titolo”. Giusto. Ma tutti gli ordini di scuola sono stati per decenni incoraggiati, consigliati e spinti a condonare le deficienze di preparazione e di disciplina. Da dove provengono i non pochi allievi che nelle prove d’ingresso in prima media denunciano serie lacune? Quante insufficienze anche gravi vengono “abbonate” in molti scrutini finali delle superiori? E perché le matricole universitarie hanno tanti problemi con l’italiano? Tutta colpa della media?
La quale, poi, non detiene certo il monopolio dei precari, perché ne ha quasi il 30% invece del 25% delle superiori e il 20% circa della primaria. Non lo ha dei docenti immessi in ruolo ope legis, né di quelli avanti con gli anni: la media è intorno ai 50 anni in tutti gli ordini di scuola. Tutti poi, sia nel primo che nel secondo ciclo, risentono della mancata selezione iniziale e dell’insufficiente preparazione fornita loro dai corsi universitari. “In Italia – aggiunge il Rapporto – la carriera di docente è meno ambita rispetto ad altri paesi, perché la professione non gode di adeguato riconoscimento in termini di prestigio, retribuzione e carriera”. Ma anche questo vale per tutti. Giuste analisi, dunque, ma generalizzabili a “ogni ordine e grado”.
Va detto, poi, che l’Invalsi trae dalle sue indagini tutt’altra conclusione. Nel commento ai dati del 2018, si legge infatti che “l’affermazione, spesso ripetuta, secondo cui la scuola secondaria inferiore rappresenterebbe ‘l’anello debole’ del sistema scolastico italiano non trova riscontro nei dati né delle prove Invalsi né delle indagini internazionali: quello che emerge, invece, è che in questo grado d’istruzione diventa manifesta la differenza di risultati tra le diverse aree dell’Italia, e in particolare tra Nord e Sud”. Una valutazione che verrà ribadita nel commento ai risultati dell’anno seguente.
Ai limiti di fermezza e di qualità che accomunano la scuola media agli altri segmenti della pubblica istruzione, aggiungerei invece una sua reale carenza specifica: quella di essere poco orientativa. Così com’è, serve bene a indirizzare verso i vari tipi di liceo, ma poco verso gli istituti tecnici e per nulla, se non come scelta residuale, a quelli professionali. C’è stato un momento, negli anni 70, in cui c’erano due insegnanti di educazione tecnica. Si sarebbe dovuta cogliere l’occasione per farne una materia basata su laboratori che introducessero a un certo numero di mestieri fra quelli poi sviluppati negli indirizzi professionali delle superiori o, dove per fortuna funzionano bene, nei corsi di formazione professionale. L’occasione si è persa, la materia è diventata in gran parte teorica e affidata a un solo docente. Colpa, probabilmente, di quel pregiudizio negativo nei confronti della manualità che sarebbe poi stato responsabile della stolta “licealizzazione” degli indirizzi tecnico-professionali.
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