Astensione legata al disinteresse verso le periferie e mobilità dell’elettorato da un candidato all’altro più che da un partito all’altro. Sono i due trend emersi con forza in questa tornata amministrativa. La grande, quasi ossessiva, attenzione al centro città e lo scarso interesse per le periferie hanno penalizzato l’affluenza. “A Roma per esempio – osserva Livio Gigliuto, sociologo e vicepresidente di Istituto Piepoli –, ha votato il 48% dei cittadini, una quota decisamente più bassa di quella del 2016, ma ai Parioli l’affluenza è stata del 56%, mentre nella VI Municipalità è andato alle urne solo il 42%. Una forbice molto ampia. E con proporzioni diverse questo gap vale anche per le altre grandi città”.
Quanto ai flussi elettorali, da una prima analisi su Roma emerge che gli elettori di Lega e Fratelli d’Italia si dimostrano fedeli, quelli di Forza Italia invece sono più mobili. Nel centrosinistra, i votanti del Pd si rivelano aperti alle alternative, mentre l’elettorato del M5s ha scelto da che parte stare, accettando “il concetto di coalizione che non faceva proprio parte del loro vocabolario politico”.
Partiamo proprio dai flussi elettorali. Il viavai degli elettori chi ha premiato e chi ha penalizzato di più?
Abbiamo visto movimenti diversi da città a città ed è quindi un’operazione complessa. In generale, possiamo dire che più che da un partito all’altro gli elettori si sono spostati da un candidato all’altro.
Per esempio?
A Roma a rivotare per la Raggi è stata circa la metà degli elettori che l’avevano già appoggiata cinque anni fa, mentre l’altra metà si è divisa: una piccola maggioranza ha virato su Michetti, una piccola quota su Gualtieri e molti meno su Calenda.
Cosa è successo invece al Pd?
Chi nel 2016 ha votato Giachetti come candidato di centrosinistra, per due terzi ha confermato il voto, scegliendo Gualtieri, mentre il 27% si è spostato su Calenda, dimostrando ancora una volta come l’elettore di centrosinistra sia molto aperto alle alternative.
E nel centrodestra?
Chi cinque anni fa aveva votato per la Meloni, in massa ha appoggiato Michetti, il che conferma che gli elettori di centrodestra legati a FdI e Lega sono piuttosto fedeli, difficilmente si spostano e non tradiscono il campo d’appartenenza. Diverso il discorso per Forza Italia, che ha un elettorato molto più sensibile verso altre offerte: chi optò per Marchini nel 2016, per il 60% ha votato Michetti, ma il 25% circa ha preferito Calenda. In questo momento il corpo molle dell’elettorato sta al centro.
E sarà questo elettorato a far pendere la bilancia da una parte o dall’altra nei prossimi ballottaggi a Roma, Torino e Trieste?
Sicuramente, perché i moderati sono la parte di elettorato più fluida, più disposta a muoversi. Sarà importante soprattutto motivarli ad andare al voto, perché il ballottaggio non è il secondo tempo di una partita. Non si ragiona per sommatoria, cioè non si parte dai risultati del primo turno, si riparte da zero: quei voti vanno tutti ripresi e riconfermati. E poi bisogna lavorare su tutti quelli che non ti hanno votato prima.
Il grande vincitore di queste amministrative è stata però l’astensione. Chi non è andato a votare? È possibile tracciarne un profilo?
L’astensione c’è stata e maggiore rispetto alle ultime sessioni elettorali, non c’è dubbio. Guardando ai dati nel loro complesso, si tratta nella maggior parte dei casi di un calo di votanti contenuto in 5-6 punti percentuali rispetto alla tornata elettorale precedente.
Non è poco, non crede?
Vero, però non è neppure una débâcle.
Perché questo astensionismo diffuso?
Possiamo individuare due ragioni: la prima, forse un po’ banale, sono i giovani che hanno enfatizzato la loro poca affezione alle campagne elettorali. Un trend comunque già in atto da anni.
E la seconda?
In questa specifica tornata amministrativa il vero boom di astensioni si è registrato nelle periferie delle città, soprattutto Roma e Milano.
Tradotto in qualche numero?
A Roma ha votato il 48% dei cittadini, una quota decisamente più bassa di quella del 2016, ma ai Parioli l’affluenza è stata del 56%, mentre nella VI Municipalità è andato alle urne solo il 42%. Una forbice molto ampia. E con proporzioni diverse questo gap vale anche per le altre grandi città.
Perché si è polarizzata questa differenza tra centro città e periferie?
Le città si sono “strappate” e la campagna elettorale, sia dei leader nazionali che dei vari candidati, è stata molto centripeta, concentrata sulle zone centrali coinvolgendo poco le periferie. Per tradizione, i candidati sindaci si sono sempre concentrati sul centro città, affidando alla “squadra” delle liste, ai candidati nei consigli comunali o nei consigli di municipalità, le periferie, nella speranza che fossero loro a rappresentarli e a essere attrattivi per l’elettorato. È la cosiddetta campagna attiva. Poi c’è quella passiva, fatta di programmi e di dichiarazioni.
E qui cosa è successo?
Molti candidati hanno giocato molto sulla visione della città, però non hanno dedicato grande attenzione, anche in termini programmatici, allo specifico, municipio per municipio. Risultato? Il centro partecipa molto, senza perdere elettori; le periferie molto meno.
È un errore dimenticare le periferie?
Le elezioni hanno due funzioni: da un lato, rinnovare le istituzioni del paese; dall’altra, animare la vita sociale favorendo un maggior senso di collettività. Se questo trend a “sganciare” centro e periferia dovesse acuirsi, al netto di una minore partecipazione al voto, sarebbe un brutto segnale per il futuro delle città: avremmo una divisione netta tra una parte attiva e una inattiva che potrebbe impattare anche sulla vita quotidiana delle persone.
A favorire l’astensionismo ci sono altre cause? un’offerta politica inadeguata, un voto considerato inutile o irrilevante?
Dipende molto da città a città. Mai una tornata amministrativa è stata così tanto locale e poco nazionale: ogni campagna è stata una storia a sé. E sappiamo che solo quando una campagna si politicizza molto, l’affluenza ne trae giovamento, perché gli elettori sono spinti al confronto e alla partecipazione.
Il centrodestra esce sonoramente battuto?
Il centrodestra non ha performato molto bene a Napoli, come a Bologna e a Milano. Ma ha vinto in Calabria con largo margine e a Trieste ha guadagnato al primo turno 16 punti in più rispetto al candidato di centrosinistra.
Però il centrodestra continua a essere molto debole nei grandi comuni. Come mai?
Questa era un’ottima occasione per il centrodestra di raccogliere qualche successo, ma hanno pesato la scarsa coesione, la difficoltà a trovare i candidati e il fatto che siano stati individuati all’ultimo minuto. Non c’è però un motivo storico che spiega questa debolezza, perché in molti grandi comuni, compreso Bologna, abbiamo assistito a una certa alternanza. Diciamo che i partiti del centrodestra hanno fatto fatica a trovare tra loro armonia, un po’ quello che è sempre stato il difetto maggiore delle coalizioni di centrosinistra.
Anche a Milano ha perso un’occasione?
Un pezzo di città che potenzialmente sarebbe stato più contendibile per un candidato di centrodestra non ha trovato un’offerta così forte e convincente. L’area in cui si è votato di più per Sala, infatti, è il centro città, che è anche l’area in cui si è registrata la maggiore affluenza. Se a questo abbiniamo la defezione delle periferie, capiamo perché Sala ha stravinto con il 57%.
Nelle grandi città si assiste a un ritorno al bipolarismo? Non c’è più spazio per terze forze?
Sul fatto che si va verso un ritorno del bipolarismo sono d’accordo. Ma una terza forza non è stata spazzata via.
Il Movimento 5 Stelle è uscito con le ossa rotte un po’ ovunque…
M5s ha scelto dove stare. La terzietà aveva funzionato molto bene cinque anni fa, portando ottimi risultati soprattutto con le vittorie della Raggi e della Appendino.
E oggi?
Dove M5s ha scelto di correre da solo, non è stato particolarmente brillante, specie nelle amministrative. Basti pensare al 3% scarso raggiunto a Milano o al 20% della stessa Raggi, un buon risultato, anche se qui si tratta comunque del sindaco. Gli elettori sembrano premiare l’aggregazione con il Pd, forse perché hanno accettato il concetto di coalizione che non faceva proprio parte del loro vocabolario politico. Insomma, si va verso un bipolarismo in cui il M5s ha trovato la sua collocazione nel centrosinistra.
È un bipolarismo per assimilazione del M5s nel Pd?
Questa è la grande domanda su cui si gioca il futuro dei Cinquestelle. Premesso che Giuseppe Conte è il politico che piace di più agli elettori del Pd, il rischio è che l’offerta dei due partiti diventi indistinta e a lungo termine possa confondere gli elettori. In futuro sarà importante riuscire a definire meglio il perimetro che differenzia le due offerte politiche per potersi dividere il campo del centrosinistra senza pestarsi i piedi a vicenda.
La Lega perde voti e Fratelli d’Italia guadagna consensi: FdI è oggi il primo partito del centrodestra?
La Lega ha subìto un calo generalizzato, le amministrative non hanno certificato che è in una fase ascendente, anche se a Milano ha mantenuto la posizione di primo partito della coalizione con un punto percentuale in più di FdI. Quanto al partito della Meloni, Fratelli d’Italia è cresciuto rispetto a cinque anni fa quasi ovunque – a Roma, per esempio, è al 17% e a Milano tocca il 10% -, ma rispetto agli ultimi dati nazionali e alle intenzioni di voto registrate nei vari sondaggi pre-elettorali l’exploit che molti si aspettavano non si è verificato. Ha compiuto un piccolo passo avanti, mentre la Lega ha fatto un passo indietro un po’ più marcato e in questo momento FdI è il partito principale del centrodestra. Ma non sottovaluterei Forza Italia.
Perché?
È il terzo fra i due litiganti, che però un po’ gode, perché qualche risultato positivo lo ha portato a casa, come dimostra la vittoria in Calabria di Occhiuto, che ha ottenuto anche un buon successo personale con la sua lista.
(Marco Biscella)
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