Galvanizzato dalle analisi di molti commentatori, per i quali era uscito rafforzato dal risultato elettorale, Mario Draghi ha portato in Consiglio dei ministri la bozza di legge delega per la riforma fiscale. Era convinto fosse una formalità o poco più: lui stesso ha confessato che dai colloqui dei giorni scorsi con le forze di maggioranza gli era sembrato di capire che ci fosse un sostanziale accordo. Invece Matteo Salvini ha ribaltato il tavolo. Più che il green pass, il nuovo sistema impositivo è ritenuto dalla Lega il discrimine per il quale battere i pugni sul tavolo. I ministri del Carroccio ieri, con Giorgetti in testa, si sono ritirati dalla cabina di regia e subito dopo non hanno partecipato alla riunione di governo. Draghi, invece che prendere una pausa di riflessione, ha tirato dritto facendo approvare comunque la bozza di delega. È una legge quadro, che disegna la cornice entro la quale saranno poi definite dal governo le novità fiscali entro 18 mesi dal via libera del Parlamento. I contenuti reali, dunque, sono tutti da decidere. Il premier assicura che tutto sarà deciso assieme. Ma chi garantisce che il gettito resterà invariato? E che il prossimo premier proseguirà senza sgarrare sulla linea dell’attuale? Queste domande restano aperte.
Salvini ha sollevato due obiezioni. La prima è una questione di merito: la Lega non può avallare nemmeno l’ipotesi di un innalzamento del prelievo. E in effetti la bozza contiene elementi non concordati tra i partiti al momento di varare questo governo, come la riforma del catasto e la rimodulazione dell’Iva, e sono estranei perfino all’atto di indirizzo votato a giugno dal Parlamento. Irpef, Irap, Ires, Iva, patrimoni immobiliari: non c’è imposta che venga risparmiata da questa riforma al momento tanto vasta quanto vaga. E non vengono indicate le coperture finanziarie che dovrebbero consentire la riduzione delle tasse promessa da Draghi. L’altro problema posto da Salvini riguarda il metodo: una bozza consegnata mezz’ora prima della riunione da votare a scatola chiusa. “La riforma fiscale non è l’oroscopo”, è l’immagine usata dal segretario leghista per chiarire il concetto. Ma Salvini ha anche attaccato indirettamente Forza Italia, i cui ministri nei corridoi gli darebbero ragione ma poi piegano la testa e votano come vuole Draghi senza battere ciglio.
Salvini ha negato che si tratti di uno strappo, e tantomeno che siamo nell’anticamera della crisi; è comunque una bella scossa di terremoto. Enrico Letta ha riunito i suoi ministri, quasi si trattasse di un gabinetto di guerra per fronteggiare un’emergenza democratica. Probabilmente Draghi e il Pd contavano sulla sponda di Giancarlo Giorgetti. Ma questa non è arrivata e la Lega è rimasta unita: non conviene a nessuno, in questo momento, passare per favorevoli a un ritocco all’insù del prelievo. Se la Lega non si è spaccata, è perché non si è parlato di togliere l’appoggio a Draghi, ma di fare chiarezza sui contenuti reali del fisco prossimo venturo. Perché Salvini di Draghi si fida ancora. Ma non di chi potrebbe venire dopo di lui.
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