Fabrizio Corona torna a Non è l’Arena per commentare la sentenza della Cassazione che ha annullato il provvedimento con cui a marzo il Tribunale di Sorveglianza di Milano aveva disposto il suo arresto. «Parlo da persona che ha vissuto carcere, processi e sentenze: abbiamo qualche problema nella giustizia italiana. Ho una storia giudiziaria molto particolare, che grida vendetta a Dio se la si guarda a prescindere dal personaggio», ha esordito l’ex agente fotografico considerato il “re dei paparazzi”. La sua vicenda lo porta a fare un parallelismo con quella di Mimmo Lucano: «Lui non è stato giudicato come personaggio, ma è stato difeso da tutto l’establishment. Quando ho preso 14 anni di galera tutti dicevano che ero un criminale, mentre gente del governo, come Letta, lo difende. Io ho sempre accettato gli interrogatori, lui no. Lo stesso Luca Morisi ha chiesto di essere interrogato, invece lui si sentiva Dio onnipotente».
Non mancano momenti di tensione durante l’intervista, con il conduttore Massimo Giletti costretto a intervenire per placarlo. «Ho ricordato cos’è successo il 15 marzo, c’è rabbia. Uno può giudicarmi per quello che sono e rappresento, ma la mia storia giudiziaria è la peggiore in Italia», spiega Fabrizio Corona.
FABRIZIO CORONA E LA RABBIA COVATA
Fabrizio Corona rischia grosso, infatti, quando dichiara di aver «promesso al magistrato di Sorveglianza di non parlare male» del magistrato che aveva disposto il suo arresto, salvo poi affermare che «ha scritto il falso su atti di giustizia. Non sono mie dichiarazioni, c’è una sentenza della Cassazione». A questo punto il magistrato Alfonso Sabella lo redarguisce: «Non dice che ha detto il falso. Abbiamo il dispositivo che va interpretato». Ma lui ha tirato dritto, proseguendo con il suo racconto del giorno dell’arresto: «La mia detenzione domiciliare non è normale, ma per motivi psichiatrici. Quando sono stato arrestato, cosa ho dovuto fare? Prendere un telefonino, tagliarmi le vene e parlare». La calma però è solo apparente, infatti la rabbia riesplode parlando del telefonino sottrattogli durante l’arresto: «Non fai bene a te stesso. Se uno ti invita, dimostra di poter portare avanti certi discorsi», l’avvertimento di Massimo Giletti a Non è l’Arena. Poi legge la sua lettera scritta dopo il ricovero in ospedale: «Questa roba qua non è inventata per stare sulle copertine, è una storia di vita. Quando mi arrabbio e perdo la testa è perché le parole hanno un peso fondamentale. Io rappresento tutti i detenuti con cui ho passato anni di vita che subiscono angherie tutti i giorni».
LE CONTRADDIZIONI DI FABRIZIO CORONA
Ma Fabrizio Corona è anche un turbinio di contraddizioni. Da un lato spiega la sua rabbia nascosta. «Quando vengo invitato si accende tutta la rabbia nascosta in sei anni. Io vengo accolto da chiunque con affetto. Credo di dover arrivare in un programma in cui i giornalisti ammettono l’errore dei magistrati, ma trovo persone che dicono cose senza conoscere i fatti per cavalcare le loro ideologie. Mi si scatena quella rabbia. Io non sono un criminale, ma ho fatto 5 anni e 9 mesi in carcere, di cui 3 anni e mezzo in cui 24 ore su 24 le trascorrevo in cella». D’altra parte attacca: «Ho fatto dei reati? Questo è molto discutibile». E quando riascolta le parole che Adriano Celentano gli ha indirizzato, si lascia andare ad una dichiarazione che per lo stesso Massimo Giletti è la sintesi dei problemi del suo ospite, definito vittima del suo personaggio: «Mi ha fatto grandissimo effetto, perché è una persona piena di valori. Aveva ragione su tutto, anche quando chiese la grazia per me. L’idea di Celentano era giusta per lui, perché si è avvicinato alla fede e crede alla redenzione. Io mi sarei dovuto staccare da questo mondo e affidarmi a Gesù, ma io non credo in Dio perché mi sento Dio».