La storia degli Stati Uniti è fatta dai “whistleblowers”. Molti ricorderanno la “Gola Profonda” del Caso Watergate o Karen Silkwood, che denunciò fughe di plutonio da un impianto nucleare in Oklahoma. In tempi più recenti sono stati i casi di Chelsea Manning e Edward Snowden tramite Wikileaks a rivelare le malefatte del Governo americano. Oggi Frances Haugen mette in piazza i panni sporchi di Facebook.
Nel caso specifico però si verifica una straordinaria coincidenza. Nello stesso momento in cui le rivelazioni dell’ex manager dell’azienda riempiono il web, l’intero ecosistema di Facebook, Instagram e WhatsApp compresi, collassa scomparendo dalla Rete.
Una circostanza di questo genere si presta a una quantità di interpretazioni più o meno dietrologiche che ha ben pochi precedenti nella storia. Credo valga la pena citarne alcune. Facebook si è deliberatamente “spento” perché, consapevole di essere il principale mezzo di informazione mondiale, voleva minimizzare l’impatto mediatico delle rivelazioni. Facebook è stato vittima di un’altra forma di attacco, tecnologico e dall’interno, per metterlo in difficoltà, ergo la Haugen non è la sola ad avere qualcosa contro Zuckerberg. L’incidente è la dimostrazione palese delle ragioni della whistleblower quando sostiene che Facebook ha messo “i profitti al di sopra della sicurezza”, perché un down di sette ore per una realtà di questo tipo implica che i piani di continuità operativa erano inadeguati se non completamente assenti.
L’elenco potrebbe essere ancora lungo, ma questo è soltanto un invito a riflettere criticamente su quanto accade in un mondo virtuale che ormai incombe nella nostra vita reale. Frances Haugen ha denunciato qualcosa che per ognuno di noi dovrebbe essere evidente: ogni giorno noi barattiamo pezzi della nostra vita privata in cambio dei servizi erogati da operatori della società dell’informazione. Il fatto non è drammatico in assoluto, il risvolto tragico è che lo facciamo in modo del tutto inconsapevole perché siamo erroneamente convinti che il baratto di cui sopra non produca conseguenze reali sulla nostra vita. La rete sembra essere diventata la discarica delle nostre peggiori pulsioni e per qualche strana ragione crediamo che esse restino confinate oltre lo schermo del nostro smartphone. Ecco la grande illusione. In realtà i social media rielaborano il tutto e lo “risputano” nel mondo reale sotto forma di informazione che per loro produce clic e traffico (cioè denaro), mentre nel mondo reale genera nuovi mostri sotto forma di fenomeni imitativi di stereotipi di una varia e talvolta avariata pseudo-umanità.
Onestamente non era necessaria Frances Haugen per saperlo, ma, soprattutto, i colpevoli non sono i social network che hanno fini molto “banali e prosaici” come fare soldi e avere la loro fetta di potere. Piuttosto siamo noi che, in modo decisamente folle, non riusciamo a comprendere quanto grande sia la forza di Internet. Per questa ragione forse qualcuno inizia a pensare che il suo utilizzo non possa essere garantito indiscriminatamente a chiunque abbia un dispositivo in grado di accedervi, ma piuttosto debba essere un privilegio di chi abbia sviluppato qualità etiche e morali che lo mettano in condizione di farne un uso consapevole.
Aggiungo un’ultima considerazione. La grande forza della Rete è sempre stata la sua decentralizzazione, ma purtroppo quell’epoca sembra finita: pochi operatori sono ormai per la maggior parte della popolazione mondiale decisivi. Provate a immaginare se nelle stesse sette ore di down di Facebook fossero collassati anche Amazon, Google, Apple e Microsoft. Non sono certo che in questo momento mi stareste leggendo.
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