I primi di ottobre a Milano ha avuto luogo una due giorni rivolta ai giovani coordinatori didattici di scuole paritarie, organizzata da Cdo Opere Educative, che insieme si sono interrogati su quali momenti e strumenti possono essere più funzionali a riconoscere e a far crescere vision e mission.
Il Rettore della scuola “La Traccia” di Calcinate, Francesco Fadigati, ha aperto il suo intervento con la citazione di un suo alunno: “A volte mi sento così perso che tiro i pugni nel muro per sentire se sono vivo”. La provocazione del ragazzo non è caduta nel vuoto e lui ha voluto raccoglierne la sfida, perché la frase in questione nasconde certamente un desiderio positivo di vita, ma, al contempo, rivela anche un disorientamento e un’incapacità di cogliere i dati di realtà più evidenti.
Questo modo di percepire sé e il mondo ha fatto da contraltare ad un altro dialogo avuto con una maestra della sua scuola. La docente, in occasione di un incontro collegiale della primaria, aveva raccontato che, alle medie, un suo professore, condotta la classe davanti a un’aiuola fangosa, aveva chiesto di osservare le stoppie bagnate dalla pioggia. Dopo un primo momento di interdizione, la maestra, allora giovane studentessa, accompagnata nell’analisi dal suo insegnante, alla fine dell’attività era rimasta stupita dal numero di annotazioni raccolte nel suo taccuino.
A partire da questi due fatti Fadigati ha raccontato di aver rimesso a fuoco un punto essenziale della vision della sua scuola: l’urgenza di recuperare il rapporto col dato, con la realtà, come punto di un risveglio della coscienza e di un recupero del gusto del vivere.
Questo è il compito anzitutto di chi guida la scuola: la vision è uno sguardo che matura e cresce nel rapporto con la realtà, con quello che provoca, ferisce o stupisce; non matura automaticamente, ma solo nella misura in cui ciascuno desidera impararlo. È quindi il tentativo di scoprire in sé il valore della vision, la grande condizione che fa sì che poi questa dia forma alla mission, se la vision è oggetto reale di ricerca e immedesimazione personale, allora determina in tutti i frangenti del lavoro: un modo di ascoltare, di intervenire, di giudicare e quindi di provare ad agire.
Si tratta di aspetti richiamati, in altri termini, anche da Bernhard Scholz, presidente della Fondazione Meeting e consulente aziendale, invitato per approfondire il tema della relazione fra Vision e Mission: ogni docente, quando insegna, comunica inevitabilmente sé stesso, la sua idea di relazione con i ragazzi e l’idea che ha di essi. Per Scholz, un educatore, deve lasciarsi provocare da ciò che accade nel suo lavoro e deve domandarsi se la sua azione è adeguata ed efficace; questo aiuta la persona a crescere e, per riflesso, fa crescere anche la mission. Una disponibilità di tal genere, che è vero amore a sé, implica umiltà, apertura alla realtà e desiderio di coinvolgersi con i ragazzi, ma deve essere sostenuta da chi guida la scuola. Il lavoro di crescita, ha sottolineato Scholz, si realizza attraverso la condivisione delle responsabilità; sostenere una responsabilità vuol dire aiutare a far emergere quelle domande che favoriscono la maturazione di ogni persona anche professionalmente. Senza questa attenzione a sé e alle cose, il tentativo di recupero della vision è un’operazione meramente ideologica, se non diventa interessante a livello esistenziale, se non nasce un paragone con la vision nel modo in cui si opera, la comprensione si fermerà a livello intellettuale.
Anche Alfredo Marchisio della “Piergiorgio Frassati” di Seveso e Ferdinanda Sgalmuzzo della “Romano Bruni” di Padova, hanno fornito una concreta testimonianza di come si possa recuperare la vision e affrontare la mission a partire dalle domande su di sé, provocate dall’azione educativa.
Marchisio ha raccontato di come sia nato in lui il bisogno di riscoprire le figure di Piergiorgio Frassati e don Luigi Giussani, la cui pedagogia è all’origine della scuola che dirige. Ciò lo ha condotto ad instaurare un dialogo con chi ha fondato l’Istituto e, in questa maniera, ha avuto modo di andare a fondo del significato del logo, cioè dell’orante camuno, nonché del claim, “scuole che esaltano talenti”. La continua riscoperta della vision, degli ideali e dei valori che hanno guidato la fondazione della scuola ha stimolato il lavoro sulla mission. Gli insegnanti, infatti, hanno iniziato un percorso formativo sulla valutazione e sul metodo Gallup, in linea con la “valorizzazione dei talenti”, richiamata dal claim. Questo dialogo ha consentito, perciò, di riscoprire insieme, i valori dell’Istituto e di proporre in modalità bottom up, cioè sulla base di domande dal basso, gli strumenti per crescere personalmente e professionalmente.
“A cosa non rinunceresti nel tuo far scuola?”: da questa provocazione lanciata ad un collegio docenti unitario della scuola “Romano Bruni” di Padova, è partita, invece, Ferdinanda Sgalmuzzo, che ha desiderato riscoprire, insieme ad un gruppo di insegnanti, il valore irrinunciabile dello stile argomentativo che aveva conosciuto e praticato in tanti anni di scuola, considerato strumento principe anche da Romano Bruni, uno dei padri della logopedia, lo psicologo, psicopedagogista e linguista che definiva l’argomentazione uno strumento per educare i ragazzi a un uso critico della ragione: argomentare significa confrontarsi con l’altro. Concretamente, questo indica mettersi in ascolto dei ragazzi, per coglierne il pensiero in azione, mentre si cimentano con un contenuto da apprendere. In altri termini, l’insegnante deve porsi in un atteggiamento di “ascolto interessato”, volto a cogliere le caratteristiche peculiari dello studente allo scopo di valorizzare i suoi talenti e aiutarlo a crescere. In questo modo, l’approfondimento della vision delinea una chiara mission. Queste riflessioni hanno generato percorsi di continuo confronto fra docenti, facendo prima germogliare e, poi, crescere le intuizioni iniziali.
Il lavoro di approfondimento di tali tematiche ha aiutato a ricomprendere che la crescita professionale dei docenti dipende ultimamente dalla possibilità di vivere in un luogo dove ci si sente stimati. La grande stima dell’altro non è una capacità di tecnica di conduzione del personale, questa stima dell’altro è figlia della passione che l’altro possa essere sé stesso, non che sia funzionale ad un progetto, o solo alla crescita dell’opera. È solo la crescita delle persone che fa crescere le opere. E se in una scuola si vive un clima di questo tipo, allora una persona può decidere di legarsi. L’orizzonte ideale è la benzina per il lavoro di ciascuno. Per questo dedicare tempo a lavorare insieme sulla vision, sulla mission, sulla crescita professionale di ciascuno e avere luoghi che alimentino un paragone su queste tematiche aiuta a tenere desto questo orizzonte.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.