LA CGIL BOCCIA I CONTI DELL’INPS SU QUOTA 41
Secondo il Segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli, “le previsioni di spesa dell’Inps sulla possibile uscita con 41 anni di contributi, superiore a 9 miliardi come punta massima, sono decisamente sovrastimate”. Come riporta Radiocor, infatti, il responsabile Previdenza della Cgil Ezio Cigna ricorda che tali previsioni “considerano che tutti i lavoratori in possesso di questo requisito esercitino il diritto, quando l’esperienza concreta ci dice che gli utilizzatori sono meno della metà. Inoltre, non si considera che la componente contributiva, ormai prevalente in quasi tutte le posizioni personali, non costituisce una spesa aggiuntiva ma solo un’anticipazione. Per noi il picco massimo di spesa annua non supererebbe il miliardo e mezzo, e pertanto questo intervento sarebbe sostenibile”. Rispetto alla proposta di Ape contributiva del Presidente dell’Inps Pasquale Tridico, Ghiselli spiega di ritenere “che sia opportuno e sostenibile, dopo 62 anni, andare in pensione con la liquidazione dell’intero importo maturato”.
IL REBUS PENSIONI DOPO QUOTA 100
Dopo la proposta annunciata dell’Ape contributiva, il destino della riforma pensioni post Quota 100 prende sempre più la forma di un rebus per il Governo: chiamato a trovare una quadra entro l’imminente Manovra di Bilancio, le pensioni dopo la legge Lega-M5s potrebbero prendere al momento tre diverse “strade” dai costi, oltre che dai contenuti, anche molto diversi.
In primis appunto il meccanismo lanciato dall’INPS con una uscita a 63-64 anni ma con calcolo della pensione in due fasi (primi anni solo con contributi versati, dopo 5 anni, ovvero al raggiungimento dei 67 di età, la parte retributiva), costo totale 2,4 miliardi. Quota 41 resta in pista per le proposte dei partiti, anche se questo Tridico ieri in audizione si è detto perplesso per il costo complessivo da circa 9 miliardi di euro; infine, l’ampliamento dell’Ape Sociale con più categorie di attività usuranti a cui sarà permesso andare in pensione anticipatamente. Per questa operazione la previdenza vedrà un costo di 1 miliardo per i prossimi 3 anni. (agg. di Niccolò Magnani)
L’APE CONTRIBUTIVA PROPOSTA DA TRIDICO
Secondo quanto riporta Repubblica, la misura di riforma pensioni proposta da Pasquale Tridico per il post-Quota 100 entra di diritto tra quelle che potrebbero entrare nella Legge di bilancio. L’Ape contributiva, così è stata ribattezzata la proposta, prevede “di mandare in pensione quanti hanno maturato almeno 20 anni di contributi e grazie a quelli possono contare su un assegno previdenziale di almeno 1,2 volte l’assegno minimo, all’incirca 618 euro al mese”. Di fatto, “questi lavoratori potranno uscire subito a 63 o 64 anni, ma incassando solo la parte di pensione contributiva accumulata sino a quel momento, posticipando di qualche anno il recepimento della pensione intera, ovvero anche della parte di pensione retributiva, alla maturazione dei requisiti di vecchiaia (67 anni più gli adeguamenti alla speranza di vita)”. Il quotidiano romano evidenzia però che dalle simulazioni di Progetica emerge che un lavoratore nato nel 1960 con un reddito di 1.800 euro al mese andando in pensione a 62 con l’Ape contributiva prenderebbe 847 euro al mese per 5 anni, per poi incassarne 1.253.
LE PAROLE DI GANGA
Per Ignazio Ganga, l’indice negativo di rivalutazione del montante contributivo determinato dalla bassa crescita media del Pil degli ultimi anni non deve “penalizzare le pensioni, né quelle che saranno liquidate nel futuro, né quelle che sono già in pagamento”. Il Segretario confederale della Cisl, oltre alla neutralizzazione del coefficiente, ritiene “fondamentale rafforzare il potere di acquisito delle pensioni e dal 2022 applicare la perequazione per scaglioni di reddito pensionistico sulla base del modello della legge 388/2000 come concordato tra Governo e Sindacati sin dal 2016. Per i pensionati con redditi più bassi allargare la possibilità di accedere alla quattordicesima, di cui è anche necessario incrementare l’importo”. Più in generale, in tema di riforma pensioni, “è necessario consentire di andare in pensione in modo più flessibile a partire dai 62 anni di età. In ogni caso, consentire a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età. Sostenere la previdenza delle donne, di chi svolge lavori di cura e lavori usuranti”.
RIFORMA PENSIONI, IL COSTO DEGLI INTERVENTI
Secondo quanto riportato da Reuters, il Governo “prepara un nuovo intervento sul sistema pensionistico italiano per garantire a gruppi selezionati di lavoratori un canale di uscita a 62 o 63 anni anche dopo la fine di quota 100”. In particolare, “il ministero dell’Economia punta ad ampliare la platea dei beneficiari della cosiddetta Ape sociale, una prestazione che consente a disoccupati, caregiver, invalidi e persone sottoposte a lavori gravosi di andare in pensione a 63 anni. Un’altra opzione allo studio consiste nel garantire un pensionamento anticipato sempre con almeno 62 anni ma solo per alcune limitate categorie di lavoratori, con requisiti più severi di quota 100 e ovviamente un assegno ridotto, riferiscono le fonti”. Questo intervento di riforma pensioni, da inserire nella Legge di bilancio, avrebbe “un costo superiore a 2 miliardi di euro”.
NEGATIVO IL COEFFICIENTE DI RIVALUTAZIONE DEI MONTANTI CONTRIBUTIVI
Intanto non arrivano buone notizie per il calcolo delle future pensioni. Infatti, come riporta Il Sole 24 Ore, l’Istat ha comunicato che “il tasso medio del Prodotto interno lordo degli ultimi cinque anni è risultato pari a -0,000215 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione dei montanti contributivi è pari a 0,999785. Va da sé che un coefficiente inferiore a 1 porti a una diminuzione dei montanti, per questo è stato deciso che quest’ultimi non subiranno rivalutazioni. In questo modo non si avranno effetti negativi, ma nemmeno positivi. Inoltre, “il coefficiente che sarà reso noto alla fine del 2022 dovrà tenere conto del recupero dello 0,0215%, attualmente congelato”.
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