Una nuova polemica anima il mondo del basket e della NBA, con aspre critiche rivolte al playmaker dei Brooklyn Nets Kyrie Irving. Il cestista americano è stato infatti messo fuori rosa dalla franchigia di Eastern Conference dopo essersi rifiutato di sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid-19. Il classe ’92 è stato quindi allontanato dal team e non potrà giocare o allenarsi fin quando non sarà vaccinato, come richiesto dal club: “Kyrie ha preso una decisione personale, e noi rispettiamo la sua libertà di scelta. Ma non vogliamo permettere a nessun componente del nostro gruppo di avere disponibilità part-time”.
A scagliarsi contro Kyrie Irving c’è anche Dan Peterson, ex allenatore tra le altre di Virtus Bologna e Olimpia Milano, che ha commentato così all’Adnkronos la situazione della guardia americana: “Irving è un giocatore dal talento spaziale, geniale, però bisogna saper stare al mondo e col suo comportamento dimostra ancora una volta di non essere affidabile. I suoi comportamenti non sono una novità, basti pensare al fatto che è un sostenitore del terrapiattismo, e non aggiungo altro. Io personalmente andrò oggi pomeriggio a fare la terza dose”.
Dan Peterson vs Irving: la posizione del giocatore
Dan Peterson ha ovviamente preso le difese della franchigia: “Condivido la ferma posizione dei Nets che stanno pensando a soluzioni per rimpiazzarlo durante tutta la stagione, ormai i giocatori non vaccinati in Nba sono veramente pochi. Bisogna saper stare al mondo, Irving ha dimostrato grande talento in campo ma non fuori, da ex allenatore dico che se non hai una testa quadrata è difficile che riesci a giocare alla grande magari in gara 7 di un playoff, o in una finale olimpica, e lui è così, nelle partite che contano spesso è mancato”.
Ma cosa avrebbe spinto Irving a rifiutare la vaccinazione? Persone a lui vicine sottolineano il fatto che il cestista non sarebbe un no vax, anzi, ma avrebbe deciso di non sottoporsi al ciclo vaccinale per sposare la causa di tanti cittadini americani senza vaccino che hanno perso il lavoro. Per Irving si tratterebbe dunque di una battaglia che va ben oltre il parquet. Fonti vicine hanno infatti ribadito: “Vuole essere la voce di chi non viene ascoltato“.