L’indagine sui trend delle retribuzioni nelle imprese promossa dall’Unione industriale di Torino fra 12 associazioni territoriali aderenti a Confindustria nel Nord Italia è per premessa di parte (sociale): per quanto non possa esserne messo in dubbio lo scrupolo tecnico-statistico, che si è avvalso della collaborazione di Odm Consulting.
La “survey” ha coinvolto un campione di circa 800 imprese, datrici di lavoro di 60mila dipendenti. Il principale dato aggregato congiunturale registra una crescita media dei salari dell’1,8% durante la pandemia, fra 2020 e 2021. La sostanziale tenuta delle retribuzioni ha interessato tutte le categorie: gli addetti alla produzione (con retribuzione media annua di 27.500 euro), gli impiegati (38.400 euro medi annui), i quadri superiori (69.000) e i dirigenti (fino a 129.000). Le indicazioni di tendenza più interessanti sono però ovviamente quelle dettate dall’analisi.
Alcuni trend sono attesi – almeno in parte – in orizzonte di periodo medio-lungo. I lavoratori con competenze digitali guadagnano di più (fino al 6-7%). Il compenso di un giovane under 35 con con cultura 4.0 può raggiungere i 32.000 euro all’anno: quello di un coetaneo “analogico” si ferma a 30.000. La laurea (soprattutto quella magistrale) continua a mantenere un potenziale “plusvalore d’ingresso”: soprattutto se in discipline Stem. E a maggior ragione perché questo profilo resta “passepartout” preferenziale per i grandi gruppi, che garantiscono compensi e pacchetti formativi e di sviluppo carriera mediamente migliori. L’indagine conferma anche l’affermazione apparentemente definitiva (71% del campione) dei meccanismi di incentivazione, individuali o collettivi: quindi di retribuzioni sempre più articolate in componenti variabili, basate su stimoli meritocratici. E il contenuto di questi meccanismi è in continua e rapida evoluzione, orientandosi sempre più verso pacchetti di welfare aziendale.
Ma la “survey” si è misurata anche in tempo reale sul terreno magmatico dei cambiamenti indotti dalla pandemia. Che sono già visibili. Anzitutto: le retribuzioni nelle imprese industriali mostra segni di tenuta nonostante l’irruzione improvvisa e imprevista dello smart working. Un fenomeno che – nel campione – ha interessato l’80% degli addetti al marketing e il 97% di lavoratori nel “data management”, che hanno iniziato a lavorare in remoto per più del 50% del loro tempo. Molto meno scontato appare l’emergere dello smart working “4.0” fra le “tute blu”: nel lavoro d’officina “tout court” (6,3%) e sul fronte bollente delle “supply chain” (19%). La digitalizzazione produttiva – avviata ancora nel 2017 dall’originario Piano Nazionale Industria 4.0 per supportare la manifattura Made in Italy – si sta rivelando l’onda lunga di una corrente profonda, accelerata dall’effetto-Covid.
È su questa realtà – chiaramente già tale – che il premier Mario Draghi ha invitato le parti sociali (tutte, ciascuna con la sua fotografia del “reale”) a misurarsi in una nuova stagione di concertazione.
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