Per alcuni anni mi sono dovuta occupare della formazione non solo degli insegnanti, ma anche degli studenti di lingue in una scuola privata e preparatoria nel Connecticut (per Preparatory negli Stati Uniti si intende una scuola nella quale tutti gli studenti sono avviati all’università), a partire dall’asilo sino all’ultimo anno del liceo. È il modello K-12: asilo + 5-6 anni di elementari + 3-4 di medie + 4 di liceo; la somma degli anni è uguale per tutte le scuole pubbliche o private, ma siccome non è mai un requisito centralizzato perché sono gli Stati, i comuni e anche le scuole stesse a scegliere la suddivisione degli anni, questa distribuzione rimane leggermente modificabile.
L’autonomia scolastica in Usa è un concetto importante, peraltro con un comune denominatore che le mantiene unite e che viene discusso regolarmente: esso è la considerazione del benessere dello studente nel presente e per il suo futuro. Questo “benessere” è il primo motivo dell’incessante formazione degli insegnanti e del dialogo trasversale con l’amministrazione, per una ricerca continua delle innovazioni necessarie nel campo educativo. Questa ricerca non comprende soltanto la materia stessa ma anche e soprattutto il suo approccio. Ad esempio ci si domanda continuamente quali siano i testi da usare e quale sia la più aggiornata metodologia pedagogica.
Come direttrice, la prima responsabilità è stata quella di rivisitare tutti i libri per l’insegnamento di lingue, a partire dalle scuole elementari, passando per le medie e finendo con gli anni liceali. Tutto visto come una sequenza per l’apprendimento ininterrotto degli allievi, secondo le necessità dell’età.
Nelle elementari si trovano maestri molto preparati perché è richiesto uno studio pedagogico post-laurea, cioè la specializzazione di due anni dopo i primi quattro del college. Per le medie e i licei (Middle School e Upper School, nel privato; Junior High School and High School nel pubblico) non ci sono corsi pedagogici disponibili perché si ritiene che basti la laurea avanzata della materia (Master o Phd nelle varie discipline, ma è da sottolineare che tali studi e titoli non hanno nulla in comune con quelli così chiamati in Italia, termini che sono stati appropriati dall’inglese senza però il sostrato dell’apparato accademico americano.
Sto dipingendo un quadro scolastico che parte dall’asilo e finisce all’università e che è molto diverso da quello italiano. È internamente connesso e monitorato dall’interno perché non ci siano dei vuoti o dei buchi nell’apprendimento. Mi sembra di capire invece che la discontinuità sia un grave problema nelle scuole italiane. Teniamo conto del fatto che non esiste un ministero governativo centralizzato negli Usa che detti leggi, regole o esami nazionali. Esiste ancora un esame statale nei licei delle scuole pubbliche, ma non è significativo neppure in questo settore da decenni: ideato per egualizzare gli studenti con un esame impersonale e “obiettivo”, nell’illusione di quei tempi che ogni singolo alunno appartenesse e rispondesse all’istruzione nello stesso modo, la sua inadeguatezza era già un fatto negli anni 60, quando il dibattito prendeva forma anche nei giornali.
Il linguaggio pedagogico negli States nei decenni recenti parla di “Diversified Teaching”, esattamente l’opposto dell’ideologia egualitaria per cui la materia si offre agli studenti in un unico modo. Per i professori l’attuale sfida è abbastanza straordinaria perché si chiede non solo di usare metodologie pedagogiche diverse, ma anche di prestare attenzione a ciascuno dei nostri alunni per trovare l’orientamento più efficace per ogni individuo, per cui si devono usare metodi diversificati per raggiungere il livello e il tipo d’intelligenza di ciascuno di loro.
La parola chiave in questa elaborazione educativa è la continuità. Si elabora questa continuità dentro un sistema governato non dall’alto ma dal basso. La ricerca richiede che si studi costantemente la differenza di età e le medie sono considerate la fascia scolastica di maggiore sfida proprio per la complessità di questo periodo di crescita. Nella mia esperienza come direttrice, il cui principale compito era di assicurare la coerenza della sequenza di tutto il percorso educativo dai primi agli ultimi anni, nella Middle School ci si doveva confrontare costantemente per collegare al meglio gli anni delle elementari, quelli delle medie e quelli liceali. Si richiede che ogni passaggio sia fluido e unitario per l’alunno.
Inoltre, si deve considerare con una attenzione costante il comportamento e l’abilità di ogni nuova generazione fin dai suoi primi anni, attraverso l’adolescenza e fino all’approdo alla maturità liceale, senza mai perdere di vista la preparazione universitaria. Usati, sebbene anche contestati, sono i corsi AP (Advanced Placement) che sono veri e propri corsi universitari accreditati, a scelta dello studente con il consiglio del professore. La differenziazione, sia nelle scuole pubbliche, dove i più avvantaggiati intellettualmente vengono scelti per le Special Classes, sia nelle private dove si creano le Honors Classes, consente ai più impegnati e avanzati di approfondire la materia; questo, come nei corsi AP, rende più facile affrontare l’ammissione ai Colleges, che è estremamente competitiva.
Questo insieme che ho descritto si struttura come una cipolla, come un cerchio unico che racchiude lo svolgimento e l’evoluzione dell’istruzione; ma lo si potrebbe paragonare anche a un singolo fiume che corre verso il mare, che parte dall’asilo e finisce al liceo, senza alcuna interruzione (nella maggior parte dei casi neppure logistica, perché la scuola nel privato è un campus, che include anche le attività sportive), soprattutto perché non esiste nessuna dipendenza o interferenza ministeriale o governativa esterna.
Ritengo che quest’ultimo sia il maggior problema del settore scolastico pubblico, che si è manifestato prima in Usa e che adesso mi sembra generare preoccupazione in Italia. Il rischio è che l’educazione pubblica italiana si degradi e si perda come è già successo negli Stati Uniti. Puntare sul recupero dell’elemento più complicato e più in crisi come le scuole medie in Italia, serve non solo per al “benessere” degli alunni ma a quello dell’intero sistema educativo pubblico. Direi che si tratta di un fatto simbolico e urgente, anche perché non c’è in Italia, come in Usa, un’alternativa didattica di eccellenza privata che possa sostituire o ampliare la scelta scolastica delle famiglie italiane.
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