Sul green pass Mario Draghi si è preso ancora una volta un rischio, un rischio calcolato (ormai sembra essere la sua nuova parola chiave) e ha calcolato bene. Il G-day è filato liscio nonostante qualche protesta e qualche intoppo qua e là. Non è stato bloccato nemmeno il porto di Trieste, sulle autostrade gli ingorghi sono stati provocati dai cantieri, come al solito. Chi non si è ancora vaccinato è corso ai ripari: c’è addirittura un boom di certificati.
L’Italia è governabile purché non si perda troppo tempo con i talk show. Gli italiani vogliono lavorare e uscire il prima possibile da un incubo che dura ormai da quasi due anni. La manifestazione sindacale a Roma non ha provocato “effetti collaterali”. Tutto bene, dunque? Non proprio. Ci saranno colpi di coda dei No Pass, la vigilanza cauta e discreta non basta più e la gestione dell’ordine pubblico è diventata un’emergenza mettendo sotto pressione la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, già nel mirino della Lega e di Fratelli d’Italia.
Non è l’unico problema interno al Governo. Draghi vuole finire entro l’anno i compiti a casa, tuttavia la spinta riformatrice s’è affievolita nella maggioranza di governo e anche nel Paese. È arrivato il momento di una verifica con i partiti e con l’opinione pubblica per ritrovare, prima che arrivi l’inverno, lo slancio della scorsa primavera.
Gli ostacoli come gli esami non finiscono mai e la prossima settimana tocca alla Legge di bilancio, un appuntamento chiave anche perché ne va di una delle questioni più controverse: il reddito di cittadinanza. Venerdì scorso, proprio mentre tutta l’attenzione mediatica era concentrata sul presunto blocco del Paese, al Consiglio dei ministri si è avuto l’anticipo delle difficoltà prossime venture. Draghi ha detto che la misura-bandiera del Movimento 5 Stelle non verrà ammainata del tutto, ma andrà cambiata in modo sostanziale. Non è noto ancora come, anche se è chiaro il pomo della discordia: una stretta sulle clausole che impediscono di ricevere il sussidio, controlli più stringenti e non solo a campione come quelli dell’Inps, un più forte ed efficace legame con la ricerca del posto di lavoro. Al centrodestra non basta, sia la Lega che Forza Italia chiedono che venga abolito. Su questa linea si è spostato chiaramente anche Matteo Renzi il quale sperimenta le geometrie variabili che potranno contraddistinguere il quadro politico ancor prima delle elezioni del 2023. Il Governo intende stanziare 200 milioni di euro di qui a fine anno in attesa di un nuovo provvedimento, il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti si è opposto: “È una beffa”, è sbottato. Draghi ha rinviato il tutto a martedì. Ma temporeggiare non serve, bisogna scegliere.
Ciò vale anche per altri dossier bollenti: Quota 100 per le pensioni, i licenziamenti (la cassa integrazione è stata prorogata fino al 31 dicembre), le tasse (anche le cartelle sono rinviate) e più in generale la riforma fiscale. Su pensioni e imposte la Lega annuncia battaglia. Il Presidente della Confindustria Carlo Bonomi ha chiesto “un grande gesto di coraggio” che riguarda “una manovra forte sul cuneo fiscale”. La legge di bilancio mette sul piatto 22 miliardi di euro, 4 dei quali per politiche vigenti. Non ci sono molti margini di manovra, quindi è necessario compiere delle scelte drastiche, invece di dare poco a tanti è meglio concentrare le risorse su misure capaci di dare un forte stimolo all’economia. Quest’anno il Pil italiano salirà del 6,1% secondo il centro studi confindustriale, tuttavia la congiuntura sta già manifestando segnali preoccupanti.
La tensione sul gas gonfia i prezzi, ciò erode il potere d’acquisto delle famiglie e nello stesso tempo alimenta il fuoco di chi lancia allarmi sull’inflazione e chiede una stretta monetaria alla Banca centrale europea. In Italia per il momento stiamo sotto il 2%, la Germania è arrivata al 4% e il nuovo Governo tedesco, se andrà in porto l’alleanza “semaforo” tra socialdemocratici, verdi e liberali spingerà per un ritorno alla disciplina monetaria e fiscale. A tutto questo s’aggiungono i colli di bottiglia dal lato dell’offerta, la mancanza di materie prime essenziali (il silicio per i chips), una catena produttiva che si è spezzata e stenta a riannodarsi.
C’è una variabile in più, tutta politica, che preoccupa il presidente del Consiglio. È vero che l’esito delle elezioni amministrative non ricade direttamente sul futuro del Governo, tuttavia crea tensioni interne. Il Pd ringalluzzito canta vittoria e al suo interno riprendono fiato le spinte più di sinistra, mentre la Cgil, forte anche della manifestazione di ieri a piazza San Giovanni, presenta la sua lista di priorità. Il segretario Maurizio Landini in cravatta rossa le ha anticipate nel suo comizio: “Non possiamo passare dalla pandemia del virus alla pandemia salariale, abbiamo bisogno che la ripresa inverta la tendenza e ci sia una redistribuzione salariale”, sia attraverso i contratti sia attraverso il fisco. “La riforma deve avere un effetto chiaro, che la gente capisce, deve aumentare il netto in busta paga e delle pensioni”.
Qui il centrodestra gioca le sue carte. Il modesto risultato elettorale ha reso Matteo Salvini ancor più bisognoso di portare a casa risultati concreti. Giorgia Meloni può limitarsi a scandire slogan, ma la Lega è al governo e ha intenzione di contare. I numeri della manovra che in settimana verranno resi noti non sono un esercizio aritmetico, esprimeranno invece precise scelte politiche.
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