L’urgenza del significato

Lo scorso fine settimana a EncuentroMadrid c'è stata un'interessante tavola rotonda cui hanno partecipato Antonio García Maldonado e Ana Irís Simón

La speranza è la sorpresa. La speranza è trovare il significato antiprofano al mondo. Sono le due fasi con le quali Antonio García Maldonado e Ana Irís Simón hanno concluso il loro intervento in una delle tavole rotonde dello scorso fine settimana a EncuentroMadrid. Sia Ana Iris Simón che Antonio García Maldonado, giornalista e scrittrice la prima, consulente politico il secondo, sono brillanti esponenti della generazione spagnola che ora ha tra i 30 e i 40 anni, una generazione che è cresciuta in un mondo secolarizzato. Sono esponenti di una postmodernità che ha fatto un lungo viaggio emozionante, attraverso il “disincanto del mondo”, per arrivare a vedere la vita, come loro stessi dicono, più in là del “quantitativo”. I due provengono da una tradizione di sinistra, che serve loro per fare un’analisi precisa di alcune delle origini dell’incertezza in cui viviamo.

I due hanno superato i dogmi di una certa forma di progressismo, di razionalismo e di assolutizzazione della tecnologia, sono figli del malessere della nostra epoca e sottolineano l’urgente necessità di significato. Ana Iris Simón, infatti, è diventata uno dei personaggi dell’anno con il suo primo libro e con il discorso fatto nella sede della Presidenza del governo. Lì ha messo in discussione le presunte conquiste del modello sociale e di un welfare state che ha reso più difficile la vita dei giovani.

Ana Iris Simón ha partecipato con entusiasmo al movimento del 15M, che dieci anni fa portò gli “indignati” a occupare le piazze. Non rinnega parte delle critiche di quell’epoca, della denuncia di un sistema economico che ha fatto della mancanza di stabilità e della incertezza degli idoli. Oggi, però, completa la sua critica: il problema non è solo una certa organizzazione produttiva, ma che “il liberalismo disincentiva la ricerca di significato”. L’insicurezza lavorativa e sociale e l’incertezza circa il significato si alimentano a vicenda per sfociare poi nel nichilismo.

García Maldonado è più pungente nella sua critica alla trattazione economica che teorizza come positiva la precarietà e una flessibilità del lavoro nella quale si perde di vista la persona. Il lavoro è più che un salario, è una fonte di identità ed è proprio questo che è stato distrutto. La tecnologia è diventata fine a se stessa, non sappiamo più a cosa servano gli strumenti. Siamo come il personaggio del film La Sirenetta che trova una forchetta e non sa a cosa serve.

Maldonado e Simón concordano sorprendentemente nel denunciare che il malessere creato da questa situazione ha molto a che vedere con un modello individualista nel quale le appartenenze sono scomparse. I sindacati non hanno iscritti perché le chiese sono vuote. I due fanno propria la critica di Robert Putnan in Bowling alone, il saggio del sociologo nordamericano in cui si denuncia come la perdita del capitale sociale, dei legami e della fiducia tra i cittadini comporti la perdita del fattore più potente di soddisfazione sociale e personale. E curiosamente i due hanno anche superato il paradigma dell’individuo solo, precario, falsamente emancipato, consumatore dei quartieri più attraenti delle città “più moderne”, e lo hanno fatto recuperando il senso di appartenenza alla famiglia. Una paternità e maternità recuperata, che non ha niente di scontato, che rimane lontana da ogni militanza in favore della “famiglia naturale”. Da essa nasce lo stupore per la realtà e per ciò cui non si può dare un nome. “C’è qualcosa – dice Maldonado riferendosi al rapporto con suo figlio – che non sei capace di nominare, di esplorare in termini religiosi o scientifici, ma che è reale”.

I due riconoscono che le nascite e le morti per la pandemia li hanno tirati fuori dal mondo virtuale nel quale vivevano e li hanno riconciliati con la realtà. In cosa consiste questa riconciliazione? “L’idea del mondo moderno – evidenzia Maldonado – è che la speranza è conseguenza del conoscere, del saper misurare, del sapere interpretare. Ma il segno dei tempi è che la speranza sta nella sorpresa, nel mistero come attesa”.

C’è molto da imparare dall’appassionante viaggio di Simón e Maldonado, dalle voci più critiche di una generazione che ha rifiutato l’assolutizzazione della tecnica, i dogmi di una o dell’altra parte, che ha subito e subisce sulla propria pelle l’incertezza. Non si può continuare coi vecchi discorsi sullo Stato e il mercato dopo averli ascoltati. Soprattutto, c’è molto da imparare da questa apertura lucida e assetata, nata dalla carne delle circostanze, al mondo, al significato, alla sorpresa di ciò che non si può misurare.

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