La fluvoxamina, farmaco antidepressivo, avrebbe la capacità di ridurre i ricoveri ospedalieri tra i malati Covid: lo rivela uno studio che ha trovato spazio sulle autorevoli colonne della rivista scientifica “The Lancet” e che rappresenta il più ampio lavoro di ricerca mai condotto su questo tipo di molecola. Una notizia importante nella lotta contro il virus SARS-CoV-2, che viene riportata anche dall’agenzia di stampa Adnkronos: quest’ultima rivela che l’attività è stata condotta tra 1.497 pazienti brasiliani in totale, suddivisi in due gruppi.
In particolare, viene specificato che “741 partecipanti sono stati trattati con fluvoxamina in un contesto di emergenza Covid (e 79 di essi hanno avuto bisogno di cure mediche per più di 6 ore o sono stati ricoverati in ospedale), mentre altri 756 partecipanti hanno ricevuto placebo, con 119 degenze ospedaliere in totale”. Come si legge su “The Lancet”, questi dati statistici hanno dimostrato una riduzione assoluta del rischio di ospedalizzazione prolungata o del prolungamento delle cure di emergenza del 5%, con una riduzione del rischio relativo del 32%. Non solo: considerando che nel primo gruppo “solo” 79 pazienti su 741 sono stati ricoverati, si evince come la fluvoxamina sembri allontanare lo spettro delle degenze nosocomiali del 90%.
FLUVOXAMINA RIDUCE ANCHE LA MORTALITÀ DA COVID?
Adnkronos puntualizza inoltre che, “sebbene la mortalità non fosse un esito primario dello studio, in un’analisi secondaria per protocollo di pazienti che hanno assunto almeno l’80% delle dosi del farmaco, si è verificato un decesso nel gruppo fluvoxamina, rispetto ai 12 nel gruppo placebo”. Gilmar Reis, co-ricercatore principale dello studio, ha voluto sottolineare come questi risultati siano totalmente coerenti con studi eseguiti in precedenza, seppur su una platea numericamente inferiore: “Data la sicurezza, la tollerabilità, la facilità d’uso, il basso costo e la disponibilità diffusa della fluvoxamina, questi numeri possono avere un’influenza importante sulle linee guida nazionali e internazionali sulla gestione clinica di Covid-19”, ha concluso.
Gli ha fatto eco Edward Mills della McMaster University, co-ricercatore principale del lavoro: “La malattia rappresenta ancora un rischio per le persone in Paesi con risorse limitate e accesso limitato alle vaccinazioni. Identificare terapie poco costose, ampiamente disponibili ed efficaci è quindi di grande importanza ed è di particolare interesse riutilizzare i farmaci esistenti che sono ampiamente disponibili e hanno profili di sicurezza noti”.