Il crollo in Borsa delle Popolari, nell’ultima seduta della settimana, ha lasciato poco adito a dubbi. Soprattutto il -7% della maggiore – BancoBpm – è stato visibilissimo effetto in tempo reale della scomparsa degli incentivi alle fusioni nel progetto di Legge di bilancio approvato dal Consiglio dei ministri giovedì sera.
Le agevolazioni erano state pensate anzitutto per favorire la riprivatizzazione del Monte dei Paschi, che ne avrebbe dovuto garantire il definitivo salvataggio. Il tentativo del Mef di aggregare il Monte a UniCredit è naufragato domenica 24 ottobre, dopo tre mesi di negoziati. E non è stato certo motivo di stupore che quattro giorni dopo il Governo abbia cancellato dal budget 2022 le risorse fiscali utili essenzialmente a quell’operazione, che pareva effettivamente in via di maturazione entro i primi mesi dell’anno prossimo.
Le vere “vittime” a Piazza Affari della decisione del Mef – dopo un breve momento iniziale di delusione sul titolo UniCredit e una scontata ricaduta di Mps – sono state tuttavia le Popolari: non solo Banco Bpm, ma anche Bper, l’altra “blue chip” superstite nella categoria dopo la scomparsa di Ubi (acquisita da Intesa) e Creval, rilevata da Cariparma Credit Agricole. È stata questa doppia ricaduta a riaccendere i fari su una porzione del sistema bancario contigua ai punti di crisi: Mps ma anche Carige e Popolare di Bari.
Il Mef è parso assumere una direzione precisa e probabilmente obbligata: anche in vista di una probabile richiesta all’Antitrust Ue di proroghe delle scadenze per Mps. La conferma delle agevolazioni fiscali orientate a Mps sarebbe stata “al buio”: né BancoBpm, né Bper hanno finora segnalato il possibile interesse a subentrare. UniCredit al tavolo di Siena. E né authority né analisti di mercato sono mai sembrati molto fiduciosi che Banco o Bper possano realmente farsi carico di Mps. Il rialzo di Borsa del Banco, in particolare, era legato semmai all’ipotesi che UniCredit potesse rivolgere verso la Popolare maggiore il suo interesse: scenario che sarebbe stato tutto da verificare, ma cui il Mef ha per ora chiuso le porte di bonus fiscali.
Questo premesso, al momento è rimasta priva di prospettiva di aiuto pubblico anche un’aggregazione fra le due grandi Popolari, con perimetro forse allargato anche alla Popolare di Sondrio: cioè l’ipotesi di Super-Popolare che, secondo alcuni osservatori, potrebbe sulla carta creare un “piedistallo” su cui costruire una soluzione per Mps (e forse anche per altri gruppi non stabilizzati).
Non sta mancando, intanto, chi prova a coinvolgere nel gioco delle “ipotesi B” per Mps anche i due poli del credito cooperativo nati dopo la riforma del 2015. Cassa Centrale Banca (capogruppo con baricentro a Trento) si è già affacciato su Carige – dossier meno impegnativo del Monte – ma senza poi concludere. Iccrea – storica piattaforma centrale unica delle Bcc – sta riorganizzando la rete.
Che la fitta maglia del credito cooperativo (tuttora l’unica eccezione riconosciuta alla banca “profit oriented” quotata assunta come modello base dalle normative europee) sia ancora vitale lo ha ricordato nel fine settimana Alessandro Azzi, a lungo presidente nazionale della Federcasse e tuttora presidente della Federazione lombarda. Una presa di posizione, la sua, che ha rilanciato tutti gli interrogativi critici posti dalla riforma e dalla frattura imposta dall’alto al sistema-movimento. “Il sistema del credito – ha detto Azzi – tende alla concentrazione in grandi gruppi più lontani dalle comunità. Non è che spingendo le Bcc ad adottare logiche di grandi banche si rischia di trasformarle in un’altra cosa? Su questo tema è necessario siano sensibili gli organi di vigilanza e chi governa il Paese”.
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