Capitano di artiglieria; consigliere nel Comune di Rio de Janeiro, il “fiume di gennaio” che oggi si stima superi gli otto milioni di abitanti; deputato da trent’anni, che dopo due anni dalla prima elezione si dichiarò pubblicamente nostalgico del ventennio in cui governò il regime militare (dal 1964 al 1984); eletto presidente alla fine del 2018, con vicepresidente un generale, dopo l’esclusione dalla competizione dell’ex premier Lula (quello che tentò di negare l’estradizione in Italia del terrorista Cesare Battisti, concedendogli asilo in memoria di quella che fu la dottrina Mitterrand, un salvacondotto per assassini “politici” e bombaroli); convinto omofobo, che tra le prime iniziative di governo ha varato restrizioni dei diritti Lgbt; e convinto negazionista in tema Covid, deforestatore dell’Amazzonia, primo promulgatore di fake news (sempre in tema Covid: “I vaccini favoriscono l’Aids”, la temeraria bufala che gli costò l’allontanamento coatto da Facebook e Youtube).
Questo è Jair Messias Bolsonaro, 66 anni, nato a Glicerio, S. Paolo, da genitori di origine veneta (i Bolzonaro con la zeta), con antenati tedesco-calabresi. Famiglie di migranti come tante in quei tempi difficili, quando si partiva dall’Italia per cercare possibilità dall’altra parte dell’Oceano, tanta gente che diffuse la nostra lingua, quella che contaminandosi carioca è diventata il “talian”, un veneto-brasiliano divenuto “patrimonio culturale immateriale del Brasile”. Bolsonaro in Italia è arrivato qualche giorno fa, invitato al G20 ma di fatto poi schivato dai premier radunati a Roma, chi guardava da un’altra parte, chi assorto in altri improrogabili impegni, chi dissuaso anche da quell’accusa di crimini contro l’umanità confezionata dalla speciale commissione del senato brasiliano, dopo la terrificante conta dei 600mila morti per Covid, imputabili alla malagestione presidenziale della pandemia. Ma dopo Roma, il presidente era atteso anche in Veneto, nella minuscola Anguillara, circa 4mila anime, invitato dalla sindaca leghista Alessandra Buoso per la cittadinanza onoraria, in memoria della famiglia dei suoi genitori, partiti proprio da lì. E la sua visita, prevedibilmente, s’è subito trasformata nell’esasperazione che ovunque corrode questi tempi.
Mura del municipio di Anguillara imbrattate dalle scritte “fora Bolsonaro”, centinaia di contestatori urlanti contenuti da un gran numero di forze dell’ordine, e supporter del premier che gli facevano da scudo umano, tutti fianco a fianco, tutti in delirio, senza mascherina, per altro sull’esempio dello stesso Bolsonaro. Tutto questo lunedì mattina. Nel pomeriggio gli scontri veri e propri, stavolta nel vicino capoluogo, Padova, dove il presidente è arrivato senza essere ricevuto da nessuna autorità, e nemmeno dai frati della basilica di Sant’Antonio, che lui ha voluto comunque visitare in forma privata. Il centro ha visto piombare in città circa 500 “antagonisti”, arrivati un po’ da ovunque, intenzionati a raggiungere la basilica per impedire la visita, un’ondata che ha invaso le antiche strade patavine fino al grande Prato della Valle, bloccata solo dalle cariche, dai fumogeni e dagli idranti delle forze dell’ordine, in una liturgia di tensione che ha facilmente riportato alla memoria gli anni di piombo che squassarono Padova e il Veneto tra gli anni Settanta e Ottanta. Alla fine della serata, contestatori dispersi e Bolsonaro in una pizzeria di periferia.
Gli antagonisti, per definizione, sono “contro”, e in democrazia sarebbero chiamati ad un ruolo fondamentale: bilanciare l’azione di governo con la sottolineatura di linee alternative, di risvolti non considerati. Oggi però l’antagonismo sembra solo la deriva violenta del “no tutto” che ha caratterizzato tanti movimenti, a volte approdati anche in Parlamento: “no tav”, “no mose”, “no tax”, fino ai no vax o no green pass. E così, antagonisti erano sia gli esagitati ieri a Padova, sia quelli che il 9 ottobre hanno assaltato la sede Cgil a Roma. Antagonisti di destra e di sinistra, per un “no” che non si riesce a sostenere con la dialettica e la ragione, ma si vuole imporre con urla, minacce, prevaricazioni. Schegge di dissensi che evidentemente non trovano soddisfazione nelle sedi istituzionali, e che fischiano forte come la valvola di una pentola a pressione.
La microgiunta comunale di Anguillara (5 persone, sindaco compreso), ostinatamente convinta di autopromuoversi rivendicando un imprinting familiar-territoriale al presidente Bolsonaro, uno dei leader più contestati del mondo (secondo forse solo a Kim il-Sung), nonostante tutte le avvisaglie e le contestazioni del Consiglio e della gente del paese, ha voluto procedere comunque nella sua impresa (ma alle elezioni i neosindaci non si dicono sempre “sarò il sindaco di tutti”?), scatenando le inevitabili reazioni che si sono viste. Il risultato più macroscopico è che oggi la popolarità della misconosciuta Anguillara è schizzata alle stelle, nel bene e nel male. E in un’epoca che giudica sulla base di pollici alzati, di contatti, di follower, l’audience sembra contare più del gradimento.
Ma prima o dopo sarà meglio abbassare la fiamma ed interrompere i fischi di quella pentola, prima che ci esploda in faccia.
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