Caro direttore,
le ultime news dal Myanmar sono ancora tragiche, ma soprattutto non si vedono vie d’uscita.
Gli scontri proseguono. Da un lato, ci sono azioni veloci, blitz dei nostri giovani. Dall’altro, ci sono attacchi in grande stile da parte dei militari con armi pesanti. In entrambi i casi ci sono morti. Nei mesi scorsi c’erano stati bombardamenti aerei, cannoneggiamenti d’artiglieria su cittadine controllate dalle forze etniche dove erano andate distrutte anche chiese cattoliche rette dai gesuiti e dal MeP (Missioni estere di Parigi, il corrispettivo del Pime di Milano).
Ora il tutto si è ripetuto a Pekon e Mobye (al confine tra gli stati Shan e Kayah), Thantlang (stato Chin) dove sono state bombardate anche due chiese di battisti e avventisti. Gli abitanti sono riusciti a scappare, ma credo non si faccia troppa fatica a immaginare come e cosa questo significhi: abitazioni di fortuna, alimentazione e condizioni sanitarie precarie. Il tutto con l’epidemia di Covid in versione indiana che qui imperversa. Tenete conto che sulle montagne in questi mesi le temperature non sono easy. Non si va sotto zero, ma con l’abbigliamento usuale di queste parti non è consigliabile starci.
Perciò questa volta, oltre alla stretta cronaca, non vedendo vie d’uscita, mi permetto di fare qualche riflessione, per capire – io, in primis – qual è la situazione. E come se ne esce. Il punto è che siamo in una situazione di stallo.
Da un punto di vista militare l’esercito non riesce a controllare il territorio se non con l’intervento delle armi pesanti. A loro volta le forze democratiche controllano il territorio, ma non riescono a rispondere a questi mezzi: entrambi militarmente non riescono a vincere. È una situazione che potrebbe durare anni. Ma prospettive tipo “Vietnam ribaltato” (i cattivi ora sono i comunisti che opprimono il popolo), con una guerriglia volta a snervare i golpisti, sarebbe lunga, luttuosa e defatigante. Non avrebbe neanche l’appoggio dell’opinione pubblica occidentale, in tutt’altre faccende affaccendata (Covid e cambiamento climatico).
Dal punto di vista politico i militari non possono perdere (verrebbero annullati tutti i loro privilegi) e i democratici non riescono a vincere militarmente. A livello internazionale nessuno ha voglia di creare ulteriori elementi di contrasto con la Cina. Riecheggia ancora una volta – come scrissi mesi fa – la frase che circolava nelle cancellerie europee nel 1939 all’indomani dell’invasione della Polonia: “Vale la pena morire per Danzica?”. Oggi basta sostituire Rangoon a Danzica. Il problema è che non c’è più Churchill!
I big player internazionali come si muovono? La sensazione che qui abbiamo è quella che il Grande Vicino cinese è sempre più forte. A forza di delocalizzare e voler risparmiare sulla manodopera, li avete fatti diventare i fornitori del mondo e ora vi tengono in ostaggio. Tanto che nei giorni del G20, Xi Jinping, senza timore alcuno, fa sorvolare Taiwan dai suoi caccia (come dire: non avete il coraggio di toccarci) e non partecipa neanche a Glasgow (anzi, aumenta la produzione di carbone). Come reagirebbe ad un ritorno della democrazia in Birmania? Ufficialmente si tiene neutrale nelle nostre questioni, dicendo che per loro non ci sono problemi: loro trattano con chiunque sia al potere. A Rangoon come a Kabul. La nostra impressione è che per loro Rangoon sia il jolly da giocare nel Grande Risiko sull’Asia. È sacrificabile perché garantirebbe l’accesso all’Oceano Indiano ai loro oleodotti e alle loro ferrovie.
Gli Usa sono appena usciti massacrati dall’esperienza afghana e da tutte le esperienze in terre islamiche (leggasi “Primavere arabe”) dove pensavano che bastasse esautorare il dittatore di turno per creare la democrazia (stupidi o in malafede?). Ora però sono come un pugile suonato. Per di più, se Biden alle prossime elezioni di medio termine perde il controllo del Congresso diventa una “anatra zoppa”.
L’Europa deve ancora capire chi comanderà nei paesi guida: in Germania chi gestirà il dopo Merkel? E in Francia verrà riconfermato Macron?
Si conferma come le democrazie siano un sistema assai instabile e le dittature siano molto più efficienti. Insomma, troppi dubbi a Occidente. Servirebbe una linea condivisa all’interno dei singoli paesi (affinché non ci siano cambi di rotta: non si può costruire una politica estera con una visione di breve periodo) e fra big (Usa ed Europa).
Anche perché Putin, nel dubbio, sta a guardare. Lui può essere (e lo sa) colui che sposta gli equilibri. Certo è più simile al Principe di Machiavelli che a De Gasperi, ma c’è qualche alternativa? Mentre voi meditate, qui si muore.
La speranza, quella che serve per vivere tutti i giorni, qui non viene dalla politica. Anche un cristiano tiepido come me riconosce di essere impotente davanti a tutto questo male. Solo Altrove (con la A maiuscola) trovo ragioni per vivere. Ma questo non può essere di consolazione per una situazione sempre più drammatica. Aiutateci.
Un lettore dal Myanmar
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