L’ultimo diktat lanciato dalla Cina è quello di estrarre più carbone possibile dalle vaste miniere presenti nel Paese: un modo “plastico” e palese a tutto il mondo di aperto contrasto e “affossamento” dei (pochi) impegni presi da Xi Jinping agli ultimi G20 e Cop26, tra l’altro intervenendo solo con collegamenti da remoto.
Come rivela oggi “Il Corriere della Sera”, nel solo mese di ottobre la Cina ha portato la sua produzione interna di carbone a 11,5 tonnellate con un incremento netto di un milione rispetto a settembre 2021. L’annuncio è stato dato dallo stesso Governo di Pechino, confermando la “plastica” contraddizione degli impegni climatici presi dal regime comunista. «Azzerare emissioni anidride carbonica entro il 2060» si è impegnata la Cina, ma con l’estrazione intensiva del carbone e dell’attività mineraria di questi ultimi tempi non sembra proprio andare incontro a tale processo.
PERCHÈ LA CINA HA AUMENTATO LA PRODUZIONE DI CARBONE
Secondo il focus offerto dal “CorSera” – ma anche secondo quanto mostrato pre-G20 dai media americani – la spinta all’uso del carbone si è resa di fatto “necessaria” in Cina per poter fronteggiare la crisi della produzione industriale post-Covid. Con il sempre più “scarseggiare” delle materie prime e con le riduzioni globali per motivi di inquinamento, l’intero settore energetico è in precoce “scricchiolamento” (la cosiddetta “energy crunch”) e la Cina intende correre ai ripari raccogliendo quanto più carbone e minerari possibili. Il balzo in avanti richiesto dall’economia cinese post-pandemia ha “costretto” il Governo a puntare tutto sulle fonti interne di energia, mettendo nuovamente in “pausa” gli impegni presi per la transizione ecologica all’ultimo vertice ONU di Glasgow.