In questo tempo di ripresa economica emerge nel nostro paese, più che in altri momenti, una drammatica carenza di figure professionali qualificate in molti settori della produzione e dei servizi.
La drammaticità è data da due fattori coesistenti ed apparentemente contraddittori: molte persone non hanno lavoro e versano in situazioni di bisogno e molte attività economiche non possono essere svolte adeguatamente. Quest’ultimo elemento è sottolineato da chi ha interesse alla produzione per l’impatto economico evidente. Vi è però una terza conseguenza della carenza di professionalità, non meno grave delle prime, che è la mancata erogazione di servizi e cure adeguate.
Nell’ambito dei servizi si pensi, per esempio, alla carenza di infrastrutture adeguatamente gestite e sviluppate: viabilità, trasporti, rete dati, fruibilità dei servizi informatici in genere per citarne alcune.
Nell’ambito delle cure la questione è ancora più delicata. La rete territoriale psichiatrica è ridotta all’ombra di se stessa: i Cps, strutture territoriali a cui obbligatoriamente fanno capo tutti i malati psichiatrici, sono in gran parte accorpati per carenza di organico e i malati hanno intensità e tempi di cure conseguenti. Nell’ambito dell’assistenza domiciliare alcuni servizi si sono contratti per assenza di professionalità: assistenza ai minori al domicilio o nelle scuole, cure ai malati più complessi; alcuni reparti per acuti come alcuni pronto soccorso sono chiusi; in alcuni territori il medico di base non c’è.
Vi sono diversi ordini di provvedimenti che possono essere presi, come in parte già in atto, per far fronte alla situazione. L’incremento di stipendi e quindi di tariffe, l’aumento di posti nei corsi universitari e nelle scuole di specializzazione, l’apertura del mercato a professionalità provenienti da fuori il territorio nazionale.
Un intervento ulteriore potrebbe consistere nella riformulazione dei requisiti organizzativi necessari per il funzionamento dei servizi. Molti di questi requisiti sono stati redatti quando alcune figure professionali non erano presenti se non in nuce: si pensi agli educatori professionali, ai tecnici della riabilitazione o agli psicologi sottoutilizzati nelle residenze per anziani o nelle riabilitazioni psichiatriche o agli Oss (operatori sociosanitari), magari ulteriormente addestrati, competenti per mansioni ben maggiori di quelle oggi previste; si pensi a funzioni gestionali o amministrative erogabili in équipe da altri professionisti.
Vi è anche un fenomeno, su cui riflettere, un poco esasperato negli ultimi decenni: per ricoprire alcune funzioni siamo passati dal triennio di scuola superiore alla laurea magistrale: sono sparite figure come l’infermiere generico, la puericultrice; per accedere a un corso professionalizzante di un anno per operatori socio-sanitari occorre la maturità. Sicuramente abbiamo riqualificato figure professionali ed esteso ordini e albi professionali, ma abbiamo anche tagliato fuori dal loro accesso molti giovani che ingrossano le file dei Neet: giovani che non studiano e non lavorano, stimati in Italia in due milioni nel 2021, pari a uno su tre.
Una qualche riflessione potrebbe essere fatta anche riguardo ai luoghi di qualificazione oggi quasi esclusivamente accademici: siamo passati da specialità cliniche acquisite per lo più con l’esperienza di servizio al divieto di attività diverse per gli specializzandi rispetto alla frequenza di scuole universitarie. Esistono istituti professionali che in campo riabilitativo e socio-assistenziale possono già dare dei contributi importanti.
Questa drammatica epoca di bisogni non colmati apre a possibili e incoraggianti nuove idee e soluzioni, perché emerge che il problema non è difendere le ragioni di uno schema, ma riuscire a vivere dentro vicende spesso non desiderate né immaginate.
E’ una passione umana che, in campo civile e sanitario, rigenera professionalità e cure antiche e ne inventa di nuove; è la necessità di un bene per sé e per tutti che abbozza nuove forme di cura, di accoglienza e di solidarietà come tante istituzioni e persone anche oggi documentano: le competenze seguono una vivacità umana che resta la prima risorsa da coltivare.
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