A Milano, piazzale Loreto è una grande, caotica piazza, croce e delizia delle migliaia di milanesi, motorizzati e non, che vi transitano ad ogni ora per essere centrifugati in ben otto direzioni. Il nome della piazza richiama la chiesa costruita nella prima metà del 1600 sullo stradone che conduceva a Bergamo e Venezia e che oggi corrisponde a Corso Buenos Aires. La piccola chiesa, successivamente abbattuta, era dedicata appunto a Santa Maria di Loreto.
All’innesto di via Doria sfida la distrazione dei passanti un monumento dedicato ai quindici ostaggi qui uccisi con fredda determinazione da un plotone d’esecuzione italiano, in accordo col comando tedesco, il 10 agosto 1944. La fucilazione fu presentata come rappresaglia per l’attentato di due giorni prima ai danni di un autocarro tedesco fermo in viale Abruzzi, a pochi passi dalla piazza.
Ma l’attentato era stato decisamente anomalo, infatti non vi rimase ucciso alcun tedesco e quindi è decisamente fuori luogo parlare di rappresaglia. È molto plausibile invece che con l’esecuzione del 10 agosto si volesse dare un segnale forte alla resistenza milanese, allo scopo di intimidire gli antifascisti, mostrando loro di che fossero capaci coloro che detenevano – ancora per poco, e forse ne erano consapevoli – il potere.
Alla ricognizione di tali eventi è dedicato il libro di Massimo Castoldi, Piazzale Loreto-Milano, l’eccidio e il “contrappasso” (Donzelli, 2020). L’autore, che ha sempre partecipato alle annuali celebrazioni sul piazzale fin da quando era bambino perché tra i martiri c’era il suo nonno materno, Salvatore Principato, ha raccolto nel tempo materiali editi e inediti relativi all’eccidio del 1944 e alle alterne vicende legate alla storia di quel luogo.
Al di là comunque della componente familiare e affettiva, Castoldi, docente di filologia italiana nell’Università di Pavia, è un appassionato cultore di storia, che resta uno dei suoi campi d’indagine preferiti. Poiché alle commemorazioni non hanno mai fatto seguito chiarificazioni sull’identità delle vittime né sulla loro colpevolezza capace di meritare una fine atroce come la fucilazione, l’autore ha avvertito ad un certo punto la necessità di compiere un’opera di giustizia storica e di colmare il vuoto storiografico con questo suo libro.
In Piazzale Loreto troviamo molte ricostruzioni, tutte rigorosamente documentate anche con ricerche di prima mano, e rese con precisione filologica, che rendono più completo e complesso il quadro della situazione milanese di allora, a partire dalla cronaca di quella tragica giornata.
Alle 4.30 del mattino quindici detenuti del carcere di San Vittore furono svegliati e condotti, ignari della sorte che li aspettava, verso il luogo dell’esecuzione, senza aver subìto alcun processo e senza la possibilità di conforti religiosi. Fu una carneficina: i militi della Muti che formavano il plotone d’esecuzione spararono a bruciapelo, e poiché le vittime cercavano disperatamente di fuggire, furono crivellate di colpi dalla testa alle gambe. Nessuno ricompose i corpi che rimasero sul piazzale tutto il giorno, al sole di agosto, esposti all’orrore e alla pietà esterrefatta dei passanti. Solo verso sera i cadaveri furono trasportati all’obitorio di via Ponzio e il giorno dopo al Cimitero Maggiore.
Il capitolo “I quindici” ricostruisce l’attività antifascista dei martiri e dei loro familiari. Erano per lo più giovani, provenienti dal mondo operaio, molti appartenenti al partito socialista, ma con alcune eccezioni. Tra queste, Vittorio Gasparini, il dirigente cattolico che collaborava clandestinamente con gli Alleati, o Salvatore Principato, il più anziano, che aveva 52 anni.
Quest’ultimo, siciliano di origine, socialista da sempre, era un maestro elementare. Lungi dal fare dell’aula scolastica una tribuna per le sue idee, egli era dedito a testimoniare ai suoi allievi, con la parola e soprattutto con l’esempio, che era possibile un’altra modalità di vita rispetto a quella proposta/imposta dal regime. Arrestato già nel 1933, fu poi liberato, ma rimase un sorvegliato speciale della polizia a causa della sua attività politica antifascista, che andava dalla diffusione della stampa clandestina all’organizzazione di assistenza a persone sgradite al regime, al coordinamento della vasta rete della resistenza milanese. Alla figura umana e politica del nonno, Castoldi ha dedicato, tra l’altro, l’articolo “Saper dare la vita per qualcuno o per qualcosa”: il maestro Salvatore Principato nel ricordo dei suoi alunni.
Alla vigilia della Liberazione, Piazzale Loreto era per tutti Piazzale Quindici Martiri, ma quello che lì accadde nella giornata del 29 aprile 1945 destò amarezza e sgomento, specie in quanti avevano lottato per porre fine al fascismo e alle sue aberrazioni.
La sera precedente da Dongo, località sulla costa nord-occidentale del lago di Como, era partito un camion che trasportava i cadaveri di Mussolini, di Claretta Petacci e di una quindicina di gerarchi fascisti, tutti fucilati dai partigiani nel corso della giornata. Il lugubre carico fu scaricato in Piazzale Loreto prima dell’alba, ben presto la voce si diffuse e cominciò ad affluire in piazza una grande folla. La gente voleva vedere e avvicinarsi, ma c’erano anche molti che volevano infierire su quei corpi, tanto che furono chiamati i pompieri e i carabinieri per cercare di contenere la folla euforica e inferocita. Così tra le 10 e le 11 si decise di issare i corpi di Mussolini e di alcuni altri al distributore di benzina lì presente, sia per renderli comunque visibili sia per preservarli dagli odiosi attacchi. I cadaveri rimasero penzolanti a due metri da terra fino alle ore 13, poi furono rimossi grazie anche all’intercessione del cardinal Schuster e portati all’obitorio.
Negli anni è accaduto di vedere accostati i due episodi di cui Piazzale Loreto è stato teatro, secondo una logica riduttiva e semplicistica. Castoldi rifiuta decisamente tale confusione, riaffermando che gli avvenimenti di quelle due giornate non hanno nulla in comune. Chi ha combattuto il fascismo per amore di patria e disposto a pagare di persona, avrebbe senz’altro condiviso il grido di Concettina, figlia di Salvatore, alla folla in procinto di linciare il 28 aprile 1945 un ragazzo fascista: “Basta spargere ancora sangue!”.
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Il libro Piazzale Loreto-Milano, l’eccidio e il “contrappasso” verrà presentato dall’autore sabato 27 novembre, alle 17, presso la sede Acli in via Conte Rosso, quartiere Lambrate, Milano
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