La “paliza” (bastonata) si è avverata e il voto di domenica scorsa in Argentina ha ripetuto quello di settembre: il peronismo e la sua ala più estremista, il kirchnerismo, che ha governato il Paese dal 2003 (con la breve parentesi di Macri dal 2015 al 2019) non ha più la maggioranza alle Camere. Anche se in quella dei deputati è sotto di un solo candidato (105 contro i 106 dell’ex opposizione), nel Senato lo è di ben 6 e quindi, nella pratica, c’è la storica occasione di iniziare un processo che nel 2023 (anno delle presidenziali) dovrebbe portare un candidato di Cambiemos (probabilmente l’ex ministro della Sicurezza Patricia Bullrich) alla Casa Rosada.
In pratica l’Argentina potrà finalmente convertirsi in quella Repubblica con Stato di diritto tanto anelata ma quasi mai raggiunta. E altrettanto finalmente 70 anni di potere quasi ininterrotto del nipote del fascismo italiano, il peronismo, che hanno portato una nazione tra le più ricche della Terra a una successione di disastri inimmaginabili potranno considerarsi alla fine.
In questa tornata in ben 24 Province delle 33 argentine il Frente de Todos (l’ultima creazione che doveva alleare peronismo e kirchnerismo ma che si è rotta quasi subito) ha perso e nelle restanti 9, nonostante il voto pilotato attraverso regalie di vario genere e il trasporto nelle sedi elettorali includendo masse di persone provenienti da Bolivia e Paraguay fornite di doppia nazionalità, il distacco con i partiti e movimenti oppositori si è ulteriormente ridotto.
L’unica Provincia dove i numeri della sconfitta sono diventati più digeribili per il Governo è quella di Buenos Aires, dove si è sì imposto il candidato di Cambiemos Diego Santilli, ma il distacco con l’avversaria Victoria Tolosa Paz si è ridotto a 2 dei 4 punti che si erano registrati nelle primarie. Catastrofica la sconfitta a Buenos Aires, con un distacco che sfiora il 50% dei voti a favore della candidata di Cambiemos Maria Eugenia Vidal.
La cosa letteralmente metafisica e pure comica (ma si potrebbe definire più propriamente drammatica) è che il Presidente argentino Alberto Fernandez non ha minimamente riconosciuto la disfatta, proclamandosi vincitore della tornata e addirittura annunciando una manifestazione nei prossimi giorni nella Plaza de Mayo di Buenos Aires per festeggiare. Non si sa bene cosa, visto che a partire da oggi proprio lui non avrà in pratica più potere se non quello dei decreti di necessità e urgenza per governare, visto che, persa la maggioranza alle Camere, dovrà contrattare ogni sua decisione per confermarla.
Ma chi più soffrirà questa sconfitta, al punto di evitare di “celebrarla”, sarà l’attuale vicepredente Cristina Fernandez de Kirchner, che avendo perso clamorosamente la maggioranza al Senato vede pericolosamente avvicinarsi le porte dei Tribunali, dove dovrà rispondere nei circa 10 processi che la coinvolgono. La sua immunità potrà essere facilmente fatta decadere e quindi dovrà affrontare le aule dei Tribunali dove, vista la quantità industriale di prove accumulate nel corso degli anni, rischia la prigione.
Ora bisognerà però pure vedere come si comporterà un’opposizione che finora non ha mostrato di costituire un blocco unico contro il potere governativo, sia per divisioni interne a Cambiemos che per due candidati di stampo liberista come Javier Milei e Luis Espert i cui movimenti hanno raggiunto un considerevole 17% del voto e saranno sicuramente determinanti in futuro.
L’occasione di cambiare definitivamente si ripresenta all’Argentina 6 anni dopo quella che portò Macri alla Casa Rosada: anzi, ora i numeri sono più forti, perché durante la Presidenza dell’Ingegnere di origini calabresi Cambiemos non aveva la maggioranza alle Camere.
Domenica è stata messa in sostanza la prima pietra della ricostruzione repubblicana dell’Argentina, che tutti si augurano possa proseguire celermente per garantire a questa nazione il futuro positivo che sta cercando da più di mezzo secolo.
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