Con l’astuzia e i modo garbati tipicamente democristiani, Paolo Cirino Pomicino – deputato andreottiano per sei legislature, due volte ministro – spiega al Sussidiario che al Quirinale serve un politico e che quel politico non è Draghi: “la nomina del presidente della Repubblica dovrebbe collocarsi in una strategia in cui l’interesse nazionale sia preminente”. I partiti, se vogliono, una soluzione possono trovarla. Uno motivo valido l’avrebbero, perché il prezzo del caos sarebbe altissimo.
Mattarella si è fatto da parte: niente mandato bis.
Il segnale è inequivocabile. D’altra parte il secondo mandato di Napolitano è stato un’eccezione, lo die chiaramente la storia della Repubblica. Il parlamento deve orientarsi in altra maniera.
Secondo lei toccherà a Draghi andare al Colle?
Evitiamo di ragionare sul nome: a due mesi di distanza, si rischia di trasformare in gioco di tifoserie quello che deve restare un ragionamento politico.
Quali considerazioni si sente di fare?
In Italia c’è una situazione che non ha precedenti in nessuna democrazia parlamentare del mondo. Alla guida del governo sono state chiamate per ben cinque volte persone estranee al parlamento. Sono estranei al parlamento tutti i presidenti del Consiglio di questa legislatura.
Questo cosa significa?
Ci dice che c’è una crisi politica gravissima. È vero che oggi il ruolo del Quirinale è diverso dal passato. Ma è un effetto della crisi, non la causa. Essa sta nella debolezza delle forze politiche. Si chiamano partiti, ma non lo sono più.
E cosa sono invece?
Per lo più comitati elettorali guidati da un leader di turno. I partiti invece, sotto tutte le latitudini, hanno due caratteristiche: una cultura di riferimento e la contendibilità della guida.
Torniamo al Quirinale.
In questa situazione, la figura del presidente della Repubblica è diventata l’unico ancoraggio dell’unità nazionale. In passato c’era la democrazia dei partiti a garantirla. Oggi non più.
Di quale profilo di presidente abbiamo bisogno?
Serve una personalità politica, qualcuno che abbia o abbia avuto una forte esperienza politica e, aggiungo io, anche di governo. E che abbia rapporti internazionali solidi.
Non è facile trovarlo. Nomi?
No ne faccio. Però la nomina del presidente della Repubblica dovrebbe collocarsi in una strategia in cui l’interesse nazionale sia preminente.
Draghi ha grande autorevolezza internazionale.
Assolutamente sì, ma sarebbe utile, nell’interesse del paese, che rimanesse al governo.
Vuol dire che l’autorevolezza di Draghi è in conflitto, reale o presunto, con l’interesse nazionale che ha appena detto?
Fin qui ha dato ampia dimostrazione di avere l’autorevolezza e la capacità necessaria per garantire tutti gli step previsti dal Pnrr e dalla campagna vaccinale. Draghi deve poter restare a disposizione del paese, però avrebbe bisogno di un bagno elettorale.
Come e quando?
In passato i partiti facevano eleggere in parlamento personalità di grande rilievo politico come indipendenti. Penso a Guido Carli. Dopo essere stato governatore della Banca d’Italia per 15 anni fu eletto senatore nella file della Dc, ma non c’entrava nulla con la Dc. Quando si trattò di scegliere un ministro del Tesoro, Andreotti su mia indicazione scelse lui. Qualcuno nel 2023 convinca Draghi a diventare parlamentare della Repubblica.
Perché dice questo?
La legittimazione popolare è indispensabile perché un ministro o un premier possa avere la libertà di innovare e assumere linee politiche coraggiose.
Se ne facessimo a meno?
Torneremmo alla Camera dei fasci e delle corporazioni.
Oggi manca un leader politico che possa fare da kingmaker. Come se ne esce?
Enrico Letta ha giustamente posto il problema di un accordo ampio tra le forze politiche. La strada è quella, non c’è alternativa. O meglio, l’unica alternativa è il caos.
M5s nel 2018 aveva 338 parlamentari, a giugno 2021 erano 237. Sono ancora il gruppo parlamentare di maggioranza relativa.
Sì, ma non hanno la forza di dare le carte. In termini politici il M5s non c’è più. Dovranno seguire il Pd, un problema in più per Letta. Per questo dico che ad un accordo politico non vedo alternative. C’è però un elemento unicizzante.
Sarebbe?
La maggioranza dei partiti non vuole che questa volta Renzi faccia il suo gioco. È un dato in negativo, ma è un dato che unisce. Devono trovare un accordo per evitare che Renzi faccia una delle sue manovre.
Sembra che si prepari a votare con il centrodestra.
Renzi è come la marina borbonica. Ha una grande creatività politica, però quello che dice la sera non vale più la mattina dopo.
Berlusconi?
Sul piano politico ha la duttilità tipica dei centristi che forse manca a Salvini. Potrebbe tornare utile nel tentativo di fare un’intesa.
Però Salvini e Renzi, grazie a Verdini, si parlano. Potrebbero avere un’intesa.
Lo so, ma da qui al voto può sempre succedere di tutto: complotti, tradimenti, cambi di alleanze. Ai partiti maggiori non resta che comportarsi da partiti di maggioranza.
E se non lo fanno?
Raccoglieranno i cocci.
(Federico Ferraù)
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