NOMINE RAI/ Gli errori di Fuortes (e Draghi) abbreviano la vita del governo
NOMINE RAI/ Gli errori di Fuortes premiano Renzi (contro Conte) e Pd
Partiamo dalla fine. Il dossier delle nomine dei nuovi direttori della Rai fa infuriare nello stesso momento Draghi e Conte. Carlo Fuortes può considerasi soddisfatto, è riuscito dove nessuno dei suoi autorevoli predecessori si era mai spinto: mettersi contro in un sol colpo il presidente del Consiglio, nonché principale candidato alla presidenza della Repubblica, e il capo di quello che rimane il principale partito che siede in parlamento, per quanto malmesso nei sondaggi e dissanguato da continue scissioni.
Procediamo con ordine. A Fuortes si imputa la totale incapacità di gestire la trattativa con i partiti. Dopo essere stato costretto ad accantonare l’idea che con lui al comando i partiti sarebbero rimasti fuori dalla porta, è passato a tessere la rete delle relazioni. Ma si è visto subito che questo lavoro non fa per lui. Prima ha cercato di intavolare un dialogo riservato con il Movimento 5 Stelle, andando a parlare con Di Maio. Quando si è reso conto che il capo di quel partito fino a prova contraria era Conte, si è precipitato alla festa di compleanno di Bettini per cercare di ricomporre la frittata. Infine quando gli è apparso chiaro che non sarebbe mai riuscito a chiudere un accordo unitario è corso a palazzo Chigi, rimettendosi completamente alle decisioni dell’autorevole inquilino.
Draghi ha smistato la pratica – che già incominciava ad avere uno strano odore di merce compromessa – sulle scrivanie dei suoi collaboratori per la comunicazione, Funiciello e Ansuini. In particolare al primo non è sembrato vero di poter riempire la cartella vuota consegnata da Fuortes con alcuni nomi a lui graditi, nonché di personalità di buon livello ma soprattutto di alto gradimento trasversale. Funiciello ha buone frequentazioni renziane, ha servito Gentiloni, ed è molto ascoltato dai grandi giornali nazionali. Avrà quindi pensato che tutto questo messo insieme era condizione sufficiente per poter far fuori senza particolari danni l’unico nome che il partito di Conte – e lui medesimo – avevano difeso allo spasimo, e cioè l’attuale direttore del Tg1 Carboni.
L’operazione così concepita ha però anche nella Lega di Salvini un’altra vittima illustre. Infatti il secondo partito in questo parlamento – con circa il 20% dei seggi – si deve accontentare di una mezza designazione in comproprietà del direttore del Tg2 Sangiuliano, che come tutti sanno è un bravo professionista di destra, ma schierato da tempo immemorabile con Fratelli d’Italia. La Lega deve anche ingoiare la nomina di Petrecca a Rai News, altro fedelissimo della Meloni.
Il quadro delle nomine “suggerite” da Palazzo Chigi si completa con risultati soddisfacenti per l’Usigrai, per il Pd ma soprattutto per Renzi, che sembra aver completato il suo disegno di spodestare dai posti chiave della comunicazione pubblica tutti gli uomini di Conte. Non si capisce bene cosa ne pensi Forza Italia, ma molti danno per scontato il suo voto favorevole visto l’ok informale fornito da Letta zio a tutti i nomi della rosa.
Ora la parola passa al Consiglio di amministrazione che si riunisce oggi a Napoli. La legge Renzi prevede che solo sulle 6 nomine più importanti (i direttori delle principali testate giornalistiche) l’organismo debba esprimersi con la maggioranza dei due terzi. Su tutto il resto decide l’amministratore delegato. Come voteranno i rappresentanti dei partiti che hanno dichiarato il loro dissenso? È a rischio il quorum necessario? Vedremo; quello che è certo è che sulla Rai si è consumata una nuova rottura per una coalizione sempre più litigiosa.
Draghi ancora una volta deve prendere atto che quando ascolta troppo i consigli della politica romana commette errori gravi. Non vale per nulla le premesse Carlo Fuortes, ma non sono poi così affidabili neanche i suoi più stretti collaboratori. In fin dei conti, per una nomina amica al Tg1 ora si ritrova i due principali partiti all’opposizione. Tutto si regge ormai su un precario equilibrio che sta in piedi solo perché Conte e Salvini non si parlano dalla rottura pubblica dell’agosto 2019, ma se alla fine dovessero reciprocamente far cadere ogni risentimento personale, si prospetterebbero tempi molto duri per il governo.
Che Conte non sia così ostile al voto dopo l’elezione del capo dello Stato è abbastanza scontato. Che questo sia lo stesso interesse di Salvini e della Meloni è chiaro anche ad un bambino. Non si capisce perché Letta dovrebbe essere contrario, visto che vedrebbe, nel peggiore dei casi, raddoppiati i propri eletti. Insomma, anche gli irriducibili hanno capito che si aspetta solo l’incidente per far cadere il castello di carta. E questo della Rai ci assomiglia assai.
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