Chissà perché, certe notizie non godono mai degli onori della cronaca. E quando uso questa formula intendo apertura dei tg e titoloni di prima pagina dei quotidiani, insomma collocazioni che si auto-alimentino e impongano un grado di percezione massima all’opinione pubblica. Certo, vengono comunicate per dovere deontologico ma con enorme discrezione. Quasi non si volesse disturbare. Di questa categoria di novità bistrattate fa certamente parte l’annuncio giunto dalla Commissione europea, la quale giovedì ha deciso di prorogare fino al 30 giugno 2022 il quadro temporaneo per gli aiuti di Stato, la cui scadenza era invece prevista per il 31 dicembre di quest’anno. Data, giova sottolinearlo, a sua volta frutto di un allungamento dei tempi deciso il 13 ottobre 2020.
Insomma, il festival del calcione al barattolo. Ma attenzione, perché qui la questione è differente: c’è di mezzo il Covid, quindi nessuno ha il coraggio di aprire bocca. Nemmeno i cosiddetti falchi del rigore. Ogni ondata, una proroga. E infatti, i dati da semi-apocalisse in arrivo da Germania e Austria hanno garantito l’ennesima rottura degli indugi da parte della solitamente rigidissima vice-presidente esecutiva della Commissione europea e responsabile della Politica di concorrenza, Margrethe Vestager. La quale, infatti, ha dichiarato come «fin dall’inizio della pandemia, il quadro temporaneo per gli aiuti di Stato ha consentito agli Stati membri di fornire un sostegno mirato e proporzionato alle imprese che ne avevano bisogno, introducendo nel contempo misure di salvaguardia per preservare le condizioni di parità nel mercato unico. Oggi ne abbiamo prorogato l’applicazione per sei mesi, fino alla fine di giugno del prossimo anno. La proroga limitata offre la possibilità di un’eliminazione graduale, progressiva e coordinata delle misure legate alla crisi, evitando improvvisi e bruschi deterioramenti, e riflette la vigorosa ripresa prevista dell’economia europea nel suo complesso».
Non vi ricorda qualcuno e qualcosa? Già, Christine Lagarde e la sua narrativa rispetto alla necessità di prorogare la politica di stimolo monetario e tassi a zero, al fine di non compromettere proprio ora la ripresa in corso. Sembra uno schema predeterminato. E lo è. E in cosa si sostanzia questa nuova proroga? Gli Stati membri, ove necessario, potranno estendere i regimi di sostegno e garantire che le imprese ancora colpite degli effetti della crisi non siano improvvisamente private del supporto necessario. In parole povere, aiuti di Stato, soldi a pioggia, ristori o chiamateli come volete. Di fatto, assistenzialismo. E deficit. Che può anche andare bene, quando ci si trova di fronte a un’emergenza. Ma che diventa sospetto, quando l’emergenza sta per compiere due anni di vita e ormai ha messo i dentini. Un po’ lunga come situazione straordinaria.
Come d’altronde l’inflazione, talmente transitoria da essere stata ormai fattorizzata sopra quota 2% per tutto il 2022 dalla stessa Commissione Ue. O come lo stato di emergenza in Italia, ormai atteso alla sua seconda proroga, quella che lo porterà oltre il limite di legge dei 24 mesi e direttamente nella fattispecie molto rischiosa – soprattutto quando contemporanea con un passaggio istituzionale come l’elezione del presidente della Repubblica – dello stato di eccezione. E state certi di una cosa: se anche verrà prorogato fino al 30 giugno 2022, vi dico fin da ora che in primavera si prospetterà una mezza emergenza in vista della stagione del turismo estivo, quella che ci verrà venduta come base della ripartenza dopo l’ennesima ondata e la 42ma dose di vaccino. E si arriverà fino al 31 dicembre del prossimo anno.
Calcioni al barattolo ovunque, sembra di essere in una palestra di arti marziali. O a San Siro. Ma non basta. La Commissione Ue ha introdotto una serie di adeguamenti mirati, tra cui due nuovi strumenti per sostenere la mitologica e ormai infinita ripresa dell’economia europea in maniera sostenibile. Il primo riguarda misure di sostegno per aiutare gli Stati membri a superare la carenza di investimenti accumulata a causa della crisi, visto che i vari governi possono predisporre incentivi per le spese di CapEx o ricerca realizzati dalle imprese e utilizzare questo strumento per accelerare la transizione verde e digitale. Una spruzzatina di green-washing non ci sta mai male, d’altronde, soprattutto con l’eco della COP26 ancora nelle orecchie della gente. E, deroga nella deroga, questo strumento resterà a disposizione degli Stati membri direttamente fino al 31 dicembre 2022.
Il secondo tool, invece, prevede misure di sostegno alla solvibilità per mobilitare fondi privati e renderli disponibili per investimenti nelle piccole e medie imprese, comprese le startup e le PMI a media capitalizzazione. Gli Stati membri possono quindi concedere garanzie a intermediari privati, introducendo incentivi a investire in questi tipi di società e offrendo così loro un accesso più agevole al finanziamento del capitale. Quantomeno, in linea teorica: ma attenzione al rischio scalata, a proposito di sovranismi. E attenzione, perché la ripresa economica record che istituzioni e media compiacenti ci hanno venduto fino all’altro giorno è così credibile e sostenuta da necessitare fin da subito che questo strumento resti a disposizione degli Stati membri addirittura fino al 31 dicembre 2023. Insomma, Sussidistan su fondo blu stellato.
Eppure, soltanto in autunno era tutto un fiorire di statistiche record, un campionato europeo di pacche sulle spalle reciproche leggendo i dati relativi alla produzione industriale, alla manifattura e al Pil. Di colpo, in un Continente stra-vaccinato, arriva una quarta ondata che si prospetta ben peggiore della terza da variante Delta: e la macchina dell’assistenzialismo riparte a forza quattro. Scusate, in un quadro simile, pensate che la Bce il 15-16 dicembre faccia soltanto un mezzo passo in direzione di una normalizzazione dei tassi, come chiesto da alcuni esponenti dei Paesi del Nord spaventati dai trend dell’inflazione? Nemmeno per sogno. Guarda caso, poi, ora si spiega come mai Christine Lagarde abbia utilizzato un palcoscenico inusuale come la cerimonia per i 175 anni della Banca centrale portoghese per annunciare che proprio all’ultimo Consiglio dell’anno verranno comunicati tempi e modi del Pepp nella sua versione post-pandemica: perché era pressoché già certa che quel prefisso sarebbe stato cancellato dalla cronaca sanitaria, garantendo campo libero a ulteriori distorsioni. Oltretutto con epicentro della nuova crisi in Germania e Austria, le patrie dei falchi.
Come ampiamente preventivato e preventivabile, il redde rationem è stato un’altra volta rimandato. Causa Covid, quindi la mossa appare benedetta a prescindere. Ora, però, sorge un dubbio: cosa attenderci dai dati di quest’ultimo trimestre? Non vi pare strano che, di colpo, da dieci giorni a questa parte il ministro Brunetta e Confindustria non parlino più del Prodotto interno lordo atteso al 6% e oltre? La quarta ondata si prospetta già come alibi interno, prepariamoci. Quindi, se alla fine dei conti ci ritroveremo con una situazione macro ben differente da quella dipinta, la colpa sarà dei non vaccinati che hanno fatto deragliare il treno della ripresa. Lo storytelling è già pronto, fidatevi. Resta un fatto, però: o entreremo in pieno regime di endemia che garantisca un paio di ondate all’anno con conseguenti restrizioni cicliche delle libertà o prima o poi occorrerà che deroghe e proroghe finiscano. E che qualcuno, magari, chieda conto dei fondi utilizzati, magari anche quelli del Recovery Plan. Magari anche quelli del Pnrr. I quali, giova sottolinearlo, verranno spesi in un Paese dove oggi vengono garantiti incentivi ai netturbini di Roma, purché non si diano malati. Ovvero, un bonus per fare il proprio dovere.
Conviene sperare che il Covid non sparisca, altrimenti – e paradossalmente – per questo Paese inizieranno i guai seri.
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