I parametri della pandemia peggiorano di giorno in giorno: crescono contagi e ricoveri, e l’ombra di una nuova emergenza fa schizzare all’insù il livello d’allarme. Ma non è che, rispetto ai picchi dello scorso anno, questa quarta ondata, seppure molto contagiosa, stia creando un allarmismo e un panico eccessivi? Secondo i dati aggiornati al 15 novembre elaborati dall’ultimo report dell’Altems, per esempio, l’incidenza settimanale (il numero di nuovi casi emersi nell’ambito della popolazione regionale nell’intervallo di tempo considerato) della scorsa settimana segnalava un valore nazionale pari a 78 positivi ogni 100mila abitanti. Il valore massimo raggiunto in Italia da questo indicatore, nei 7 giorni tra il 16 e il 22 novembre 2020, aveva fatto registrare 366 nuovi casi ogni 100.000 residenti.
Stessa dinamica per la prevalenza periodale (casi già positivi all’inizio del periodo più nuovi casi emersi nel corso del periodo): oggi è pari a 252 casi ogni 100mila abitanti, un anno fa (settimana fra il 22 e il 28 novembre 2020) è stato toccato il punto massimo con 1.612 casi ogni 100.000 residenti. Insomma, siamo davvero così vicini al baratro? Lo abbiamo chiesto al professor Amedeo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica (Altems).
Rispetto a un anno com’è la situazione oggi dei contagi?
Sono due situazioni diverse, con numeri diversi, perché abbiamo due forze che si contrappongono: da un lato, circola un virus molto più trasmissivo, più virale, visto che la variante Delta ha un indice di replicazione pari a 7, mentre per il Sars-Cov-2 che circolava lo scorso anno questo indice era pari a 2.
E dall’altro?
A contrastare questa diffusività, che altrimenti sarebbe nettamente più negativa, è il tasso di vaccinazione, molto efficace e importante. Se non ci fossero stati i milioni di somministrazioni, noi quest’anno, nel momento di picco, che nel 2020 si è verificato proprio in questi giorni, alla stessa data non avremmo avuto 40mila infettati, bensì un numero più che doppio, almeno 80mila, se non 100mila casi.
I rianimatori hanno però lanciato l’allarme: possiamo resistere ancora un mese, poi le terapie intensive finiranno di nuovo in apnea. E’ davvero così critica la situazione di ospedalizzazioni e ricoveri in rianimazione?
In realtà, abbiamo davanti situazioni molto variegate da regione a regione. Oltre alla Valle d’Aosta, specialmente nel Nord-Est, e in particolare nella Provincia di Bolzano, in Friuli Venezia Giulia, adesso anche nella Provincia di Trento e presto in Veneto, siamo di fronte effettivamente a condizioni di stress del servizio sanitario che sono incomparabili con il resto delle regioni.
Altems infatti elabora un Indice di stress dei sistemi sanitari. Che fotografia ci offre?
Guardando quest’Indice, che tiene conto dei tassi di saturazione dei ricoveri ordinari e in terapia intensiva, del tasso di vaccinazione della popolazione e dell’incidenza ogni 100mila abitanti, si vede, per esempio, che la Provincia di Bolzano presenta uno stress sei volte maggiore di quello della media nazionale. E’ quindi evidente che in quelle zone del paese le terapie intensive sono già in affanno e se la crescita delle infezioni dovesse continuare a questi ritmi, il rischio è che altre regioni potrebbero velocemente trovarsi nelle stesse difficili condizioni.
Solo il Nord-Est è in affanno?
No, vanno attenzionati anche Lazio, Emilia-Romagna e Marche.
Ci sono anche regioni messe meglio?
Sicuramente la Sardegna, l’Abruzzo, la Sicilia e la Basilicata, che mostrano dati ancora incoraggianti.
E la Lombardia, regione che è tornata sotto i riflettori in questa quarta ondata perché fa registrare il numero maggiore di contagi?
Per ora va abbastanza bene, perché l’Indice di stress tiene conto anche della situazione delle infrastrutture sanitarie e delle vaccinazioni, due indicatori in cui la Lombardia eccelle. Ottima infrastrutturazione e campagna vaccinale che procede spedita le permettono infatti di assorbire senza troppi affanni un numero comunque elevato di contagi.
Alla luce di queste considerazioni, con l’attuale quarta ondata stiamo andando incontro a un nuovo disastro, a una nuova fase di emergenza che può giustificare il diffuso allarmismo?
Se saremo rapidi nella somministrazione delle terze dosi, e io sono abbastanza ottimista perché le persone andranno di corsa a farsi immunizzare, non la vedo così drammatica. Credo poi che gli italiani hanno già dimostrato, al di là di qualche piccola sacca, di tenere alla propria salute e a quella dei loro vicini. La speranza è che la campagna vaccinale con la terza dose ci salverà.
Serviranno nuovi lockdown, magari selettivi e destinati ai non vaccinati?
Il lockdown è una misura capestro, sebbene estremamente efficace. Spero però che non ci si arrivi. Ma se le vaccinazioni e una maggiore attenzione nei controlli dei Green pass non dovessero funzionare, necessariamente bisognerà prendere in considerazione anche questa misura. Lockdown selettivi, comunque, perché quello generale deve essere davvero l’ultimissima spiaggia.
Come sta procedendo il tracciamento? Funziona?
Purtroppo no, e forse è l’unico vero fallimento di tutta la nostra gestione del Covid-19. L’App Immuni ha fallito, perché gli italiani non si sono fidati di questo sistema. Non facciamo sostanzialmente tracciamento e, quando e se lo facciamo, ciò avviene in misura molto ridotta.
E’ un problema?
E’ un grande problema: avessimo avuto la capacità di fare tracing, questa crescita a oltre 10mila infettati non ci sarebbe stata, l’avremmo intercettata prima.
Il virologo Crisanti dice che i casi positivi potrebbero essere addirittura due o tre volte maggiori. Che ne pensa?
E’ possibilissimo. Ma è sempre stato così fin dall’inizio della pandemia: abbiamo sempre sottostimato tutti i casi, perché incapaci di scovarli e di registrarli.
Il Green pass è utile?
Sì, come meccanismo di monitoraggio è un forte deterrente. Non funziona però per fare il tracciamento.
Può essere allora una buona idea dividerlo in due: una sorta di super-Green pass per vaccinati e guariti in aggiunta a un altro Green pass con qualche restrizione in più per chi si sottopone solo ai tamponi?
Avrebbe senso farlo nel momento in cui dovessimo immaginare delle limitazioni per sotto-gruppi, degli approcci selettivi alla circolazione delle persone. In quel caso sarebbe uno strumento indispensabile.
(Marco Biscella)
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