Sono in arrivo i fondi del Pnrr per l’università italiana. Almeno, così si dice. Il ministero per l’Università e la Ricerca (Mur) ha pubblicato le proprie linee guida per le iniziative di sistema su Istruzione e ricerca. Su 9 miliardi di euro destinati nel Pnrr a investimenti nella ricerca, 6 miliardi sono quelli dedicati alla ricerca in filiera e distribuiti in quattro misure principali: Partenariati estesi alle università, ai centri di ricerca, alle aziende per il finanziamento di progetti di ricerca di base; Rafforzamento delle strutture di ricerca per la creazione di “campioni nazionali di ricerca e sviluppo”; Creazione e rafforzamento di “Ecosistemi dell’innovazione” come leader territoriali di ricerca e sviluppo; Realizzazione di un sistema integrato di Infrastrutture di Ricerca e Infrastrutture tecnologiche di Innovazione.
Sui giornali, il finanziamento alle università ha trovato un breve spazio all’inizio dell’anno. Il dibattito è stato innescato da un articolo di Tito Boeri e Roberto Perotti dal titolo “Basta contributi a pioggia. I fondi vanno concentrati sulle università migliori” (Repubblica, 17 marzo 2021) in cui gli autori suggeriscono di destinare quote consistenti di finanziamenti all’interno del Pnrr fra un numero limitato di università sulla base dei risultati della ricerca. In risposta, Elena Cattaneo (Repubblica, “No all’oligarchia della scienza”, 19 marzo 2021) sottolinea la specificità delle università italiane e le capacità dei nostri ricercatori, evidenziando che “bisogna osservare i risultati italiani in tutti i settori della ricerca normalizzandoli alle irrisorie risorse disponibili. Storie di eccellenze e talenti diffusi su tutto il territorio nazionale, spesso sconosciute a cittadini e istituzioni, su cui andrebbero concentrate le priorità di investimento pubblico. (…) Scegliere di creare ulteriori enti o fondazioni da dotare di fondi pubblici propri e privilegiare senza valorizzare l’esistente vorrebbe dire alimentare una politica di discriminazione arbitraria di giovani, ricercatori e territori. Chi verrà lasciato a boccheggiare senza risorse è destinato a soccombere agli ennesimi vincitori senza gara. (…) Il Paese non ha bisogno di feudi dorati”.
Il problema è che l’università non è solo ricerca.
Qualche giorno dopo, dalle colonne del Corriere della Sera, Gianfranco Viesti (“L’università oligarchica non serve. Servono più laureati”, 21 marzo 2021) introduce un altro aspetto: “I modestissimi livelli italiani di istruzione terziaria sono, semplicemente, incompatibili con l’economia contemporanea; riducono le opportunità di mobilità sociale e di partecipazione alla vita collettiva. La percentuale di giovani (25-34 anni) laureati è in Italia meno del 28%, 11 punti inferiore alla media comunitaria; in Lombardia è la metà delle regioni di Londra e Parigi; in Sicilia (sotto il 20%) minore di tutte le regioni europee, escluse alcune aree rurali rumene. Per un’Italia migliore servono più studenti, più laureati. (…) Per più studenti occorrono più docenti: che invece in Italia sono fortemente diminuiti (e invecchiati), peggiorando il rapporto studenti/docenti, già maggiore che nel resto d’Europa. (…) Uno scarto abissale, sul quale la versione disponibile del Pnrr non sembra intervenire”.
Rileggendo questi tre interventi a distanza di vari mesi, risulta evidente la linea su cui si è mosso il Governo e qual è stata la prospettiva che ha ispirato il piano di investimenti. Leggendo il documento del Mur sul Pnrr, sembra che l’orientamento del ministero sia proprio quello di favorire i grossi centri di ricerca, senza tener conto della ricchezza delle realtà territoriali e – soprattutto – del ruolo che ha l’università in ambito educativo per l’innalzamento del livello culturale (ma anche dell’economia nazionale…) del nostro paese. La promozione della dimensione educativa e formativa dell’università, fattore centrale per lo sviluppo di un territorio, non è all’ordine del giorno.
Più in generale, non si evince una riflessione ampia e organica sull’università in quanto soggetto e sul ruolo che è chiamato a svolgere quale attore della crescita e dello sviluppo culturale e socio-economico del paese. Riflettere sulla missione dell’università vuol dire progettare una visione per il futuro del paese, immaginare le attività delle persone che formano la comunità accademica, in primo luogo gli studenti. Qual è l’università che vogliamo costruire? Come l’università deve contribuire allo sviluppo del paese attraverso le varie dimensioni: didattica, ricerca e terza missione? Quali sono gli obiettivi di sistema che vogliamo perseguire attraverso gli investimenti del Pnrr?
Sono domande che non trovano spazio nella visione di università che emerge dalle linee guida del Mur in tema di università. Domande su aspetti fondamentali e obiettivi di sviluppo che sono il grande assente dai progetti del ministero cui destinare risorse molto rilevanti.
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