«La sessione sulla giustizia e contro il giustizialismo resterà negli annali della Leopolda. La lectio magistralis di Cassese, l’intervento straordinario di Nordio. E poi Caiazza, Costa, Bernardini de Pace, Barbano. Belllissimo pomeriggio»: lo dichiara Matteo Renzi al termine della “Leopolda 2021”, considerando la tavola rotonda sul garantismo e il senso di giustizia auspicata per il nostro Paese nel futuro post-Covid il vero punto di “svolta” da inseguire.
In particolare, il discorso dell’ex magistrato oggi in pensione ha colpito per contenuti e moniti lanciati all’intero mondo della politica e magistratura legati ancora a doppio filo ad una malsana concezione giustizialista: «il pubblico ministero italiano è l’unico organismo al mondo che ha un potere immenso senza nessuna responsabilità, in base all’obbligatorietà dell’azione penale che è diventata in realtà un libero arbitrio». Ad oggi, attacca Carlo Nordio dalla Leopolda renziana, «il pm può su chiunque, come vuole e quando vuole, senza rispondere a nessuno perché gode delle stesse guarentigie del giudice. È una cosa demenziale».
L’ATTACCO A NINO DI MATTEO (E AL SISTEMA CSM)
Ne ha per tutti Nordio, implementando il discorso che già poco prima il presidente emerito della Consulta Sabino Cassese aveva espresso in collegamento con la kermesse di Matteo Renzi: «i rapporti tra la stampa e la magistratura avvengono perché nessuno vigila sul mantenimento del segreto istruttorio. Certi giornali amici vengono a conoscenza di determinate notizie per poi ricambiare il favore». Non solo, gli stessi magistrati vengono a quel punto “ripagati” dai giornalisti attraverso una «incensazione che spiana una futura carriera politica», sottolinea l’ex magistrato. Per Carlo Nordio il tema centrale sui cui si dovrebbe subito intervenire in una vera riforma a 360 gradi della giustizia italiana è la separazione (al momento ancora mancante) delle carriere tra pm e magistrati: per fare un esempio calzante al giorno d’oggi, conclude Nordio, è la stessa figura del giudice Nino Di Matteo a rappresentare un potenziale problema. «La corte d’assise di Palermo ha sgretolato l’inchiesta della Trattativa stato mafia assolvendo il generale Mori e tanti altri imputati, smentendo l’impostazione accusatoria del pubblico ministero, uno dei quali era il dottor di Matteo», rileva il già procuratore aggiunto di Venezia. Ebbene, oggi Di Matteo siede al Consiglio Superiore di Magistratura e questa anomalia del tutto italiana diversi problemi potrà generare in un eventuale futuro prossimo: «Se i due giudici togati dovessero un domani chiedere una valutazione o una promozione la chiederanno al Csm, e chi siede al Csm? Siede il dottoro di Matteo. Ci troviamo nella condizione paradossale e secondo me demenziale, che un giudice viene giudicato nella sua progressione dal pubblico ministero al quale quello stesso giudice aveva dato torto. Se noi spiegassimo queste cose a un giurista americano questo resterebbe perplesso perché per lui questa cosa è incomprensibile, però purtroppo è così».