Il fondo americano Kkr ha presentato una manifestazione di interesse non vincolante e indicativa per acquisire almeno il 51% di TIM. Sarebbe pronta un’Opa totalitaria finalizzata al delisting che valuterebbe il gruppo di telecomunicazioni italiano intorno agli 11 miliardi di euro. Ci vorrà ancora un mese circa per capire se l’operazione potrà ufficialmente prenderà il via, considerando che Kkr dovrà condurre una due diligence e ottenere il via libera sia degli azionisti più importanti di TIM (quello di maggioranza relativa, Vivendi, ha già parlato di offerta totalmente insufficiente), sia del Governo italiano visto che le telecomunicazioni rientrano tra gli asset strategici su cui è possibile esercitare il cosiddetto “golden power” in grado di porre veti o condizioni sulle operazioni di mercato.
Secondo Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze, «dal punto di vista geopolitico la mossa del fondo americano è chiaramente anti-cinese e anti-francese. Ed è importantissima anche per quel che riguarda la difesa e la questione petrolifera».
Ci può spiegare meglio cosa intende dire?
Una rete di telecomunicazioni è cruciale dal punto di vista informativo. Dentro il gruppo TIM ci sono anche i cavi sottomarini di Sparkle, asset molto importante dal punto di vista della difesa. E nel caso specifico gli interessi strategici di difesa si incrociano con quelli petroliferi perché la nostra collocazione geografica ci pone di fronte all’Africa, dove è nota la presenza cinese, e la nostra impresa di riferimento nel settore, Eni, è da tempo la concorrente numero uno della francese Total proprio nel Mediterraneo.
Dunque è per questo che la mossa di Kkr è anti-cinese e anti-francese?
Non solo. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che all’interno di Cdp Reti c’è, con il 35% del capitale, State Grid Corporation of China, mentre il 24% di TIM è in mano ai francesi di Vivendi. Considerando che il 5G è cruciale nel Next Generation Eu, gli americani si sono portati avanti: non si possono permettere di non avere certezze su un terreno così sensibile in un Paese strategicamente rilevante anche in chiave Nato. Credo che tutto questo potrà portare giovamento anche alla nostra politica petrolifera, che godrebbe di fatto dell’appoggio di Washington.
L’offerta di Kkr è stata resa nota pochi giorni prima della firma del Trattato del Quirinale e poco dopo una lettera di 11 consiglieri di TIM – in cui viene criticata la gestione della società e l’andamento dei conti – che ha portato alla convocazione di un Cda straordinario per il 26 novembre: solo una coincidenza?
Non credo. Probabilmente i francesi pensavano di aver comprato l’Italia, ma adesso hanno scoperto che sul nostro Paese ci sono altri interessi. C’è da dire che essere sotto il controllo francese non vuol dire soltanto dipendere da Parigi, il che non è certo gradevole, ma anche da chi non è molto più avanzato tecnicamente di noi e non ha abbastanza capitali per fare gli investimenti necessari ad ammodernare la rete, anche perché la Francia ha da badare ai suoi problemi interni. Avrà poi notato che stanno aumentando le quote di società calcistiche italiane in mani americane.
Sì, ma questo cosa c’entra con l’analisi che sta facendo su TIM?
C’entra, perché mi sembra che gli americani stiano riscoprendo l’importanza di essere presenti in un Paese con cui non solo si possono avere rapporti commerciali proficui, ma che è anche estremamente importante dal punto di vista della difesa vista la vicinanza a quell’area enorme, quasi fuori controllo, che è l’Africa, dove è presente la Cina. Oltretutto l’interesse e la presenza di più fondi di investimento rendono solido il rapporto tra i due Paesi al di là delle Amministrazioni che vanno e vengono o che vivono un momento di debolezza interna come quella di Biden.
Secondo lei, non occorrerà utilizzare il golden power?
Considerando che ormai il piano per una rete unica pare essere stato accantonato definitivamente anche su richiesta europea, e che quindi non ci sarebbe il rischio di monopolio, credo possa bastare la presenza di Cdp sia in TIM che in Open Fiber.
In Open Fiber, dopo il via libera dell’Antitrust Ue, il fondo australiano Macquaire avrà una quota del 40%. Kkr ha già una quota del 37,5% in FiberCop, seconda a quella di TIM (pari al 58%). Non c’è da preoccuparsi per questa presenza straniera nella rete tlc che potrebbe crescere nel caso l’offerta del fondo Usa si concretizzasse?
No, se si tratta di una presenza “amica”. Questo anche per una ragione abbastanza evidente: abbiamo un debito pubblico mostruoso, quindi gli investimenti dovrebbero essere il più possibile privati, ma nel nostro Paese non ci sono abbastanza mezzi. Fare in modo che ci sia una rete tlc moderna ed efficiente, specie in aree importanti sia dal punto di vista economico che sociale come il Sud e le zone collinari e montane, aiuta il nostro sviluppo. Tra l’altro questi fondi sanno bene che è importante investire dove c’è il maggior potenziale di crescita e l’Italia è tra i Paesi che ne ha di più.
(Lorenzo Torrisi)
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