«Siamo davanti ad una mafiosizzazione del Paese», dalla politica alla magistratura: è durissimo il monito lanciato al Tg2 Post martedì sera il consigliere Csm Nino Di Matteo, già nel recentissimo passato protagonista di invettive contro il suo stesso mondo della giustizia. Dopo gli scandali Amara e Palamara e dopo che la sua inchiesta più importante – la presunta “Trattativa Stato-Mafia” – risulta ancora “impantanata”, il giudizio del togato si fa molto caustico nei confronti del “sistema giudiziario” contestato oggi anche dal Capo dello Stato Mattarella («la riforma della magistratura non è più rinviabile») nel suo intervento alla Scuola Superiore di Scandicci.
«Questo è un momento particolare, un momento pericoloso dettato da due fattori contrapposti: da una parte la volontà di una certa magistratura di dimenticare e archiviare gli scandali», che l’hanno colpita «considerandoli come frutto di un sistema che si è deteriorato», rileva Di Matteo nella trasmissione di approfondimento del Tg2 sul rapporto tra giustizia e potere. Dall’altra, continua il membro togato, «il pericolo che la politica, o comunque una larga parte del potere reale di questo Paese, approfitti del momento di oggettiva debolezza della magistratura per scopi di vendetta – per ciò che la magistratura ha saputo fare nel controllo di legalità anche nell’esercizio del potere – e per scopi di prevenzione per far si che la magistratura in futuro possa essere in qualche modo più docile e svolgente una funzione collaterale e servente rispetto al potere politico e a quello esecutivo».
L’ATTACCO DI NINO DI MATTEO
Come ribadito nel libro presentato a Tg2 Post “I nemici della giustizia”, Di Matteo non si rassegna alla possibilità di “ribaltare” il sistema dei magistrati: «questo è l’epilogo della degenerazione di un sistema che ha consentito a delle metastasi di impadronirsi di un corpo originariamente sano. Il dilagare della prassi del correntista esasperato, del carrierismo, della folle corsa agli incarichi direttivi da parte di molti magistrati, della gerarchizzazione delle procure, della tendenza a adottare criteri di opportunità nelle scelte giudiziarie anziché di dovere giuridico». Addirittura per Nino Di Matteo vi sono poteri occulti molto radicati dietro al sistema che “mina” le basi della giustizia in Italia: «non sono soltanto i mafiosi, i corrotti e i criminali ma anche coloro che si annidano all’interno delle istituzioni politiche, finanziarie, economiche e, purtroppo, anche all’interno della magistratura. Sono coloro che nella magistratura hanno ostacolato il lavoro dei magistrati liberi e coraggiosi; coloro i quali hanno consentito che nella magistratura entrasse il tarlo del collateralismo politico». Un “morbo” dentro al sistema è addirittura il riferimento alle correnti, definite in trasmissione dal togato Csm come «mine per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura». Nello specifico, argomenta il magistrato, «Le correnti e le cordate si fondano sul privilegio del criterio dell’appartenenza. Chi appartiene ad una corrente o ad una cordata viene garantito, tutelato, promosso, difeso nei momenti di difficoltà che inevitabilmente si possono presentare nella carriera. Chi è fuori da questo sistema rischia di essere pretermesso, delegittimato e isolato. Questo è un sistema che, proprio perché contrario ai principi della Costituzione, finisce per essere eversivo». Da qui il concetto di “mafiosizzazione” del sistema-Paese, coniugato da Di Matteo nel tentativo di voler «privilegiare l’appartenenza a qualcuno o a qualcosa»: conclude dunque il magistrato pm, «Non è accettabile che l’appartenenza ad una corrente detti i criteri per le nomine, per le promozioni, per gli incarichi. Questa degenerazione del sistema è stata comoda anche per la politica perché attraverso questo inquinamento della magistratura attraverso dei criteri che sono propri della politica quest’ultima ha preteso e qualche volta è riuscita a controllare al meglio la magistratura». Occorre ribaltare con nuove riforme l’intero sistema giuridico italiano, tenendo forte attenzione ad un elemento segnalato da Di Matteo: «Tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura non significa privilegiare un interesse della casta dei magistrati, bensì privilegiare e tutelare i diritti dei cittadini, delle minoranze, delle dissidenze».