Sinceramente non capisco tutta questa indignazione per le parole del senatore Mario Monti rispetto alla necessità di calibrare l’informazione in tempi di emergenza pandemica. Quando il potere è in difficoltà, i suoi servitori più ossequiosi cadono spesso e volentieri nell’errore dell’eccesso di zelo. È nel loro carattere e nella loro natura. Di servitori dello Stato. Ma a parte la mancanza totale di ritegno nel prefigurare piani che buongusto vorrebbe quantomeno dissimulati in modi e tempi di segretezza, dove sta lo scandalo?
Non so se ve ne siete accorti, visto che da tre giorni l’attenzione di questo Paese è monopolizzata dall’ennesima Calciopoli e dalla scoperta sconvolgente che nelle curve degli stadi non si annidino dei lord inglesi in fatto di buone maniere, ma ieri il mercato azionario globale – tradotto, dall’Asia all’Europa, senza confini – ha cambiato senso di marcia per le parole dell’amministratore delegato di un gruppo privato con precisi ed esiziali interessi nella pandemia. È infatti bastato che il CeO di Moderna dicesse che contro Omicron i vaccini attuali non sono sufficienti e ne servono di nuovi per far invertire la marcia alle Borse: in un contesto simile, in tempi del genere, il problema è il senatore Mario Monti che propone la censura come mezzo emergenziale di mantenimento e tutela dello status quo? Davvero?
Signori, la Manovra finanziaria che – bontà dei Migliori – è arrivata al vaglio dei partiti vanta già il sobrio numero di 6.300 emendamenti. Il tutto in un regime di concordia nazionale che vede solo Fratelli d’Italia all’opposizione. Vogliamo parlare dell’incontro dei sindacati al Mef? Un totale fallimento. E questo repentino cambio di mood di Confindustria verso l’azione di governo, com’è valutabile? Davvero a viale dell’Astronomia si sono offesi per il carattere iniquo delle riformina fiscale al vaglio? O forse, dopo settimane di operatività da ufficio stampa e promozione di palazzo Chigi, il pragmatico Carlo Bonomi ha guardato in faccia la realtà e smesso di seguire l’ottimismo pavloviano del ministro Brunetta?
Lo chiedo alla luce di questo grafico, il quale pare molto oscuro e non solo a livello cromatico. Cosa diavolo sarà, in concreto, la dinamica descritta e didascalizzata dal ticker ITPNIYOY?
Semplice, l’indice dei prezzi alla produzione italiano nel mese di ottobre. Un sobrio +9% su base mensile che nell’arco temporale annuo, invece, è appunto arrivato al +25,3%. Ovvero, i costi che le aziende manifatturiere del nostro Paese stanno scontando all’atto della produzione e che, giocoforza, cominciano a scaricarsi sulla filiera. Tradotto, inflazione. La stessa che Christine Lagarde ha ridimensionato da Fabio Fazio e poi nella sua bella lectio magistralis a Torino. Peccato che non più tardi di ieri mattina, ovvero il giorno dopo l’uno-due di rassicurazioni da parte di Madame Don’t cry for me Argentina, il suo vice, Luis de Guindos, l’abbia clamorosamente smentita in un’intervista con il quotidiano economico francese Les Echos, nel quale si diceva certo che l’overshooting dell’inflazione durerà purtroppo al di là dell’arco temporale finora pronosticato dalla Bce. A chi credere, quindi? Nel dubbio, immagino che il Presidente di Confindustria abbia giustamente scelto la strada della cautela. E abbia cominciato lo smarcamento della sua associazione dal Governo, esattamente come i sindacati hanno rapidamente archiviato il clima da luna di miele dell’abbraccio Landini-Draghi dopo l’assalto alla sede Cgil. Per una ragione semplice: per quanto l’informazione di questo Paese sia già debitamente narcotizzata (nella migliore delle ipotesi) o schierata (nella peggiore ma quasi certamente più probabile delle eventualità), a nessuno è sfuggito il paradosso degli scorsi giorni. Simile per ipocrisia alla querelle nata dalle parole del senatore Monti.
Il casus belli era il licenziamento del lavoratori della GKN, nella fattispecie il bonus spettato all’avvocato che ha portato a buon fine la causa per l’azienda. Ovvero, un professionista che ha fatto il suo lavoro. Sgradevole, ovviamente. Ma qualcuno deve farlo, altrimenti togliamo il diritto alla difesa a stupratori e assassini, categorie ben peggiori di una multinazionale che delocalizza e licenzia. Invece, tutti addosso all’avvocato. Quando invece occorreva andare addosso, metaforicamente parlando, a ministero del Lavoro e dello Sviluppo economico. I quali stanno gestendo una settantina di crisi industriali ma i risultati appaiono decisamente scarsi, quantomeno se visti dalla parte dei diritti dei lavoratori.
E che dire, in tal senso e restando in contesto occupazionale, del fatto che mentre a palazzo Chigi si firmava il Trattato del Quirinale con la Francia con toni roboanti degni di miglior causa, la transalpina Carrefour annunciava chiusure di punti vendita e licenziamenti in Italia? Non vi basta ancora? Pronti. Vi invito a fare una rapida ricerca attraverso Google (o altro motore, quello che preferite), inserendo come parole chiave semplicemente JP Morgan e Italia. Salteranno fuori decine di articoli fotocopia nati dall’intervista originale fatta da Il Sole 24 Ore all’ad di JP Morgan, Jamie Dimon, rispetto all’attrattività dell’Italia di Mario Draghi per il mondo del business.
Tutti a strapparsi le vesti, tutti a festeggiare all’epoca: JP Morgan scommette sull’Italia! E oggi, a soli cinque mesi da quel tripudio? Provate a rifare la medesima ricerca, stesso motore e stesse parole chiave. Cosa salta fuori? L’allarme della Consob su TIM, poiché la medesima JP Morgan è pronta a finanziare l’Opa di KKR sul nostro gestore telefonico. Ora, il fatto che la Consob punti i riflettori, come si dice in gergo, è di per sé sintomo del fatto che i buoi siano già belli che scappati dal recinto. Ma la cosa significativa è il cambio di paradigma, simile per velocità e intensità al disamoramento di Confindustria per il Governo: come mai l’operatività di JP Morgan relativa a un progetto di investimento che ha base in Italia ora spaventa a tal punto da obbligare la Consob a interrompere il suo storico idillio con Morfeo? Cosa pensavano lorsignori, Confindustria in testa con il suo giornale, che Jamie Dimon fosse a capo di una Ong che salva migranti in mare? Che la sua banca facesse incetta di Btp, tanto per amore di Mario Draghi?
Potrei andare avanti a oltranza. Mi fermo qui, poiché mi sono già dilungato troppo. Vi lascio con questa immagine: è la prima pagina de Il Mattino di Napoli di ieri, meritoria di un applauso per l’articolo di spalla. Un’anticipazione del rapporto Svimez presentato proprio nella giornata di ieri, dal quale si evince come a livello di progetti relativi al Recovery Plan, i mitologici 209 miliardi che avrebbero dovuto tramutarci nella Svizzera 2.0, il Mezzogiorno sia ampiamente in ritardo. Già oggi.
Sapete quanti fondi destina al Mezzogiorno (in ritardo) il Pnrr dei Migliori? Il 40% abbondante. Quanti quotidiani in edicola oggi, nel dar conto della presentazione del rapporto Svimez, hanno titolato su questa criticità e quanti invece avranno scelto toni da rinascita neo-borbonica garantita dal Re Mida di palazzo Chigi? Evito, per carità di Patria e perché bersaglio troppo comodo, di addentrarmi nel caos delle nuove norme sul super green pass e sul voltafaccia relativo alla scuola in presenza. E voi vi scandalizzate per le parole del senatore Monti, in un contesto simile?
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