L’insegnante, “di fronte al fanciullo, è una sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica i particolari dicendo: ecco il nostro mondo”. Questa conclusione, a cui dà voce una citazione di Hannah Arendt, è il coronamento di una ricerca condotta dall’Università di Bologna in sette scuole emiliane, in collaborazione con l’Istituto Vladimiro Spallanzani di Sassuolo, come è emerso, il 9 e 10 settembre scorsi, nel convegno proprio a Sassuolo sul tema “Scuole che educano, insegnanti creativi in Emilia-Romagna”. Un evento che ha chiuso un percorso di ricerca triennale, nato dall’incontro di due bisogni: da una parte, quello dell’Università di Bologna di aiutare i propri studenti a confrontarsi seriamente con la scelta di una professione educativa; dall’altra, quello dell’Istituto “Spallanzani” di riflettere sull’efficacia e sul valore della sua proposta, ovvero sulla sua idea di “personalizzazione” dell’offerta didattica. Nel corso degli anni, l’indagine ha coinvolto, poi, altre realtà, sia paritarie, sia statali.
“Nella ricerca il concetto di personalizzazione assume una primaria centralità – spiega Giorgia Pinelli, docente presso l’Università di Bologna, che ha condotto per l’Ateneo la ricerca in questione –. Si tratta di un termine molto caro alle scuole dell’istituto, ma che, negli ultimi anni, ha assunto una certa rilevanza anche per il ministero dell’Istruzione”.
Dal dialogo con gli insegnanti, infatti, è emerso che “il vocabolo viene da loro inteso in prima battuta nella sua accezione burocratica: personalizzare significa principalmente differenziare una verifica, progettare un Pdp o un Pei… Solo attraverso il dialogo con noi individuavano un significato più profondo del termine, ossia una particolare attenzione all’individuo, alle sue risorse e ai suoi talenti, per sostenerne efficacemente la crescita umana e cognitiva”.
Ed era proprio questo che intendevano coloro che hanno fondato la scuola, come conferma Andrea Talami, presidente della Cooperativa “Don Magnani”, ente che gestisce le scuole Spallanzani: “La ‘personalizzazione’ è il valore ‘fondativo’ dell’opera. Personalizzare significa non pretendere che il ragazzo si pieghi alle esigenze della scuola, ma che sia la scuola a intuire e a far maturare le caratteristiche peculiari del ragazzo. Ciò ha condotto le équipe didattiche dell’istituto a sviluppare appositi algoritmi, allo scopo di individuare le difficoltà degli alunni per intervenire attraverso l’attivazione di un percorso più adatto a loro. Allo Spallanzani infatti si organizzano anche episodi di apprendimento per gruppi di livello, per cui un numero ristretto di alunni partecipa a lezioni individualizzate fuori aula. Ciò implica un’organizzazione degli spazi diversa da quella tipica degli edifici scolastici tradizionali: l’architettura deve adattarsi alle caratteristiche cognitive degli studenti”.
Un approccio efficace, come ha riscontrato lo stesso Talami: “I dati Invalsi confermano il valore di questa filosofia: nonostante un certo numero di ragazzi con disagio, i risultati annuali delle prove standardizzate della scuola sono positivi”.
L’efficacia è comprovata anche dalla ricerca condotta dall’Università di Bologna: “La ricetta del successo formativo – spiega Talami – sta anzitutto nell’esplicita dichiarazione delle proprie vision e mission, condivise e sostenute da tutta la comunità educante. Da questo punto di vista, un elemento chiave è costituito proprio dalla scelta degli insegnanti: è necessario avvalersi di personale disposto ad essere educato, perché l’obiettivo di un’opera è anche quello di far crescere umanamente e professionalmente i suoi collaboratori. È necessario, cioè, che i ragazzi abbiano di fronte a sé adulti solidi e felici, in quanto valorizzati e sostenuti da un clima e da una modalità di lavoro finalizzati allo sviluppo delle persone”.
L’indagine è stata introdotta nelle scuole dell’Istituto Spallanzani “seguendo il metodo dell’osservazione partecipante – racconta la professoressa Pinelli –. Successivamente, abbiamo voluto studiare realtà analoghe, sia per ordine e grado, sia per mission. Si trattava di contesti in cui una reale condivisione del progetto educativo rendeva efficace l’agire del soggetto educante”.
A partire da questa constatazione i ricercatori hanno sentito l’esigenza di confrontare queste osservazioni con realtà appartenenti alla scuola statale e l’indagine, perciò, si è estesa ulteriormente. “Ci siamo imbattuti in Ptof delle scuole di Stato molto ricchi, ma anche particolarmente dispersivi in termini di vision, laddove le scuole paritarie avevano documenti più essenziali, ma con una mission ben chiara. In altri termini, nelle realtà di Stato, ciascun insegnante ha la sua vision, per questo c’è una minore propensione a condividere. Tuttavia, sia nelle paritarie, sia nelle statali è il singolo, in ultima analisi, a fare la differenza: non ci sono circostanze così avverse da poter ridurre l’azione di un docente solido e motivato, come, d’altro canto, non c’è team che possa colmare le lacune di un educatore non adatto al suo compito”.
Ma la “personalizzazione” non riguarda solo gli studenti, c’è un percorso in tal senso anche per gli insegnanti. È sempre la professoressa Pinelli a dettagliare di cosa si tratta: “I dialoghi con i docenti ci hanno mostrato che la personalizzazione è una strategia di cui avvalersi non solo con i ragazzi, ma anche con gli insegnanti. Le interviste hanno permesso loro, infatti, di verificare criticamente la propria azione pedagogica e le proprie strategie didattiche, riconcependo in modo continuo l’azione educativa”.
Il dialogo ha dominato anche la due giorni di Sassuolo, nel corso della quale docenti e presidi di scuole paritarie e statali hanno partecipato ai medesimi panel e hanno scoperto sensibilità e caratteristiche affini. “Ciò li ha spinti a collaborare ben oltre la conclusione dei lavori – osserva la Pinelli –, generando relazioni personali e collaborazioni più durature. Il dialogo aiuta a ‘personalizzare’, ad essere attenti cioè alle proprie attitudini e visioni del mondo, per svilupparle, metterle in discussione e rinnovare continuamente il proprio modo di insegnare, adattandolo a chi si ha di fronte”.
(Francesco Marinozzi)
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