Com’è noto, la diplomazia non fa per me. Quindi, eviterò lunghe e ampollose ricerche di equilibrio nel dire la mia su quanto sta accadendo in Ucraina: la Russia ha ragione e la Nato torto. Primo, la Nato ha palesemente travalicato e disatteso non solo i Patti ufficiali ma anche quelli taciti rispetto all’allargamento a Est. E non lo dice il sottoscritto, lo dicono questi due grafici, presi non da due blog finanziati dal Cremlino ma rispettivamente dal Center for Strategic and International Studies e dall’Economist. Siccome la Russia viene tacciata di atteggiamento aggressivo nei confronti dei propri vicini, forse questo impatto meramente visivo può aiutare più di mille parole a smentire questo falso storico: se c’è qualcuno che sta mettendo pressione su quelli che un tempo nemmeno troppo lontano – giova ricordarlo in punta di geopolitica seria – erano territori dell’Urss, questa è la Nato con la sua strategia di vero e proprio accerchiamento.
Cosa si sperava, forse che a Mosca ci sarebbe stato a vita un burattino alcolizzato come Boris Eltsin e che la controparte nei rapporti diplomatici sarebbero stati gli oligarchi che si sono rubati anche l’aria e che l’Europa si ostina a ospitare, potendosi comprare passaporti, cittadinanze e latitanze dorate a colpi di miliardi? Signori, possono raccontarvi tutte le balle che vogliono, ma chi sta esondando è la Nato, tanto da arrivare al paradosso di ordinare alla Russia il ritiro delle truppe da quello che è un proprio territorio come il confine con l’Ucraina. Sovranità addio, insomma.
Come notate dalle mappe, restano Bielorussia e Ucraina a operare da cuscinetto. La prima, almeno fino a quando al potere resterà Aleksandr Lukashenko, è saldo alleato di Mosca. Ma, come altrettanto chiaramente avete notato ultimamente, la presenza sui media occidentali di veri o presunti dissidenti e perseguitati politici in ottimo stato di salute sta aumentando, l’Ue ha già operato in regime sanzionatorio e la puzza di golpe eterodiretto resta fissa nell’aria. Anche alla luce di quanto accaduto in Ucraina, l’unico Stato in cui neonazisti al potere non spaventavano gli indignati resistenziali fuori tempo massimo di Repubblica, Piazza Pulita e Fanpage (vi prego, mandate un infiltrato sotto copertura a Mosca, pago io). Perché a Kiev, le squadracce con le rune al braccio circolavano davvero. E davvero in modalità SA naziste. Però andavano bene, perché erano a guardia di un regime golpista che contrastava Mosca e che anelava di entrare nella Nato. Unite a tutto questo il fatto che il figlio dell’attuale Presidente Usa compariva nel Cda di un po’ troppo aziende a controllo statale di quel Paese e un po’ troppo chiacchierate, fra laptop che scompaiono e nominativi cancellati con lo sbianchetto e tutto assume contorni più netti. Ma di tutto questo, nessuno ha mai avuto alcunché da ridire. Se i nazisti servono in chiave anti-Putin, sono un po’ meno nazisti. Anzi, tendono al democratico stinto. Un po’ come le t-shirt grigie che si possono lavare sia col bianco che con il colorato. Basta non andare oltre i 30 gradi.
Ovviamente, la Russia non è stata a guardare. Prima l’Ossezia nel 2008, poi la riannessione della Crimea come reazione al golpe colorato del 2014 a Kiev e il conflitto nel Donbass fra le milizie filo-russe e quelle filo-ucraine. Sperare che uno come Vladimir Putin potesse stare zitto e fermo di fronte a una situazione simile, equivaleva a un’ammissione di imbecillità. Quindi, chiaramente il tutto è stato studiato come aperta provocazione. Come, d’altronde, sta accadendo oggi.
Quali sono infatti le famose red lines russe sull’Ucraina che Joe Biden si è già detto pronto e volenteroso a ignorare? Di fatto, una sola: finlandizzare l’Ucraina. Ovvero, sterilizzarne sul nascere il potenziale ruolo di cavallo di Troia della Nato ai suoi confini più diretti e sensibili. Tre richieste: mai ingresso di Kiev nell’Allenza, mai dispiegamento su territorio ucraino di sistemi d’armamento che possano colpire direttamente Mosca e ridiscussione dell’intero impianto di allargamento a Est della Nato. Ivi compresa, la silenziosa e carsica operazione di destabilizzazione in atto da tempo in Bielorussia. Vi pare così tanto folle, come richiesta? L’alternativa? Se non tramutate l’Ucraina in un’altra Finlandia, in modo che nessuno si senta in pericolo, lo faremo noi. Con le armi, ovviamente.
E come ha risposto Joe Biden a Vladimir Putin nel corso dell’incontro virtuale di martedì? Se invadi l’Ucraina, armeremo in nostri alleati europei. Evviva, il più classico degli armatevi e partite. Tanto più che gli Usa, esattamente come in Medio Oriente, possono vantare il privilegio di un Oceano che li divida dal risultato delle provocazioni che mettono in atto.
Ora, attenzione. Questi altri due grafici spiegano a meraviglia quale giochino sia in atto all’ombra dell’ennesima crisi a orologeria: è bastato soltanto evocare nuove sanzioni contro Mosca per far riesplodere a 94 euro per magawatt/ora il prezzo del gas europeo trattato ad Amsterdam, il tutto mentre in contemporanea le valutazioni di quello statunitense sono crollate del 40% dai massimi storici di ottobre.
Domandina semplice semplice: in tempi di rallentamento globale del Pil e di variante Omicron che gironzola allegramente per il mondo sotto forma di variabile macroeconomica più che sanitaria, il tasso di crescita di quale Paese festeggerà i minori costi dell’energia per famiglie e soprattutto imprese? Certo, a far cominciare la discesa del prezzo del gas naturale Usa ci hanno pensato le previsioni meteorologiche parlano di un inverno particolarmente mite da metà dicembre in poi, dopodiché è stato però lo spread geopolitico a operare da driver della spirale ribassista auto-alimentate. Più l’Europa si poneva in modalità utile idiota nella disputa con la Russia, più il gas statunitense guadagnava – per così dire – status implicito di bene rifugio energetico. E quando Josep Borrell, ministro degli Esteri Ue, alla vigilia del faccia a faccia tra Biden e Putin confermava come Bruxelles sarà con Kiev in caso di attacco armato, Putin rifletta sulle conseguenze, l’immagine che emerge somiglia a quella di Fedez che minaccia Ibrahimovic di spaccargli la faccia. Ridicolo. E il balzo overnight da 88 a 94 euro per megawatt/ora del gas europeo occorso fra lunedì e martedì lo conferma. Pateticamente.
Non basta. Nell’asta per i diritti di trasporto tenutasi proprio martedì, Gazprom non ha non prenotato per la settimana in corso extra-capacity di transito tramite l’Ucraina verso l’Europa. Anzi, quanto destinato verso l’hub tedesco di Mallnow equivale al 35% del carico massimo. Prepariamoci quindi a nuovi aumenti, perché alle minacce al vento di Borrell, il Cremlino ha già risposto silenziosamente con la chiusura del rubinetto.
Infine, vi serve un’ultima ragione per rendervi conto di cosa ci sia in gioco, dietro all’ennesimo atto di interventismo umanitario e democratico di Usa e Ue nell’ex Urss? Eccola, la prima pagina del Financial Times di ieri.
Penso che non serva la traduzione, ma meglio non lasciare nulla di intentato: Gli Stati Uniti premono su Berlino affinché blocchi la pipeline del gas con la Russia in caso di attacco all’Ucraina. Ma guarda un po’, primo atto in caso venga sparato anche un solo proiettile al confine dovrà essere lo stop definitivo a Nord Stream 2: ovviamente, il Governo socialista di Olaf Scholz, appena eletto e con all’interno la storica quinta colonna atlantica dei Verdi, batterà i tacchi e risponderà Ja, a differenza di quanto avrebbe fatto Angela Merkel. Detto fatto, preparatevi il giorno dopo ai futures per il gas europeo a 250 euro per megawatt/ora. L’industria americana, sentitamente ringrazia.
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