Per il dato inflattivo Usa che verrà pubblicato oggi e riferentesi a novembre 2021 in tendenziale sull’anno, si stima un tasso del 7,0-7,1%, con valore minimo non sotto al 6,7%. Il Consensus Bloomberg di operatori di mercato è al 6,7% annuo, quindi decisamente rialzista anche tale view; di fatto, quindi, soprattutto i dati elaborati dal sottoscritto dell’inflazione tendenziale stimata lambiscono i valori iniziali di un’inflazione moderata, la quale ha inizio dal tasso pari al 7,5% circa. Con l’inizio di un’inflazione moderata cominciano le prime significative modificazioni e cioè la componente di effetti reali dell’inflazione assume caratteri sensibili e le sue tracce lievi scompaiono.
In parole povere, fenomeni reali dell’inflazione esistono anche a tassi dell’1%, ma sono aspetti di così lieve entità che di fatto sono trascurabili e quindi l’inflazione la si può trattare come un fenomeno monetario e basta, cioè aumento generalizzato dei prezzi dei beni e dei servizi. Per aspetto reale del fenomeno inflattivo, si intende invece la modificazione sensibile e importante che avviene sui prezzi relativi dei beni e dei fattori, e da tale punto di vista più alta è l’inflazione e più tale variazione è diffusa e profonda nel tessuto economico.
Se, ad esempio, il barattolo di vetro ha avuto un’alterazione sensibile di input produttivo, costando molto di più, più del 12% ad esempio del barattolo di plastica, per le imprese diventa molto più conveniente produrre barattoli di plastica e in tal senso iniezioni o meno di liquidità e manovre sui tassi di interesse hanno poco effetto. Ciò spiega il perché le autorità monetarie siano in grado di recuperare e gestire il fenomeno inflattivo da sole, fino al valore centrale di un’inflazione moderata e anche leggermente più basso, parliamo cioè del 9-9,5%, dato che le stesse non hanno né il controllo delle abitudini di consumo e di vita delle singole persone, né tantomeno il controllo dei settori industriali e delle singole imprese.
Allo stesso modo, da un punto di vista complessivo, quando le inflazioni superano il valore del 10% le stesse manovre di inasprimento delle Banche centrali in merito ai tassi di interesse diventano esse stesse inflattive (l’equazione matematica che quantifica tali conclusioni è quella di Irving Fischer). In queste situazioni devono attivarsi le autorità di bilancio pubbliche che per porre fine all’inflazione devono agire sulla domanda complessiva di consumo e degli investimenti con le manovre finanziarie pubbliche: a dirsi, se c’è troppa inflazione va ridotta la spesa pubblica, fino ad azzerare eventuali disavanzi.
Ma se il fenomeno inflattivo è più persistente e pericoloso, sarebbero necessarie ulteriori politiche: gli interventi regolamentari. Uno, famosissimo per noi italiani, è l’abolizione che venne fatta del meccanismo della scala mobile, implementando la innovativa politica dei redditi, e questa fu la vera chiave nel domare il fenomeno inflattivo degli anni ’80 in Italia. In questi contesti, il ruolo delle autorità monetarie con i loro strumenti della liquidità e dei tassi di interesse, si ridefinisce nel senso di trovare il percorso di rientro, da un’alta inflazione, il meno accidentato e austero tra i tanti possibili, mitigando il più possibile i disagi di cittadini e imprese.
Fatti tutti questi agganci teorici ritorniamo al perché della stima di un’inflazione al 7,0-7,1% per gli Stati Uniti:
– Persistenza di turbolenze di politica internazionale che non fanno rientrare le variazioni di tanti fattori dell’offerta da caratteristiche esogene verso gestioni controllabili. Le più importanti sono le tensioni con la Russia sul fronte petrolio e sul fronte Ucraina, seguono le querelle con la Cina di tipo soprattutto economico, che hanno in Taiwan una simbologia potente ed evocativa di variazioni di altri scenari strategici, ma non operativi in modo reale al momento.
– Allarmi di nuove mutazioni del Covid-19, preoccupanti in quanto resistenti ai vaccini rendendoli di fatto obsoleti. La notizia della variante sudafricana ha portato a un calo di 9 dollari al barile del petrolio in poche ore, un’enormità in quanto questi sono movimenti che ricordano il precipizio del prezzo dei futures negativi da marzo 2020 in avanti. Solamente che oggi la differenza è l’atteggiamento preparato e già progettato dell’Opec + che è pronto in tal modo a riduzioni più che compensative della produzione, aprendo veramente nei fatti all’arrivo generale di una temutissima stagflazione.
– Modificazioni delle aspettative degli operatori che stanno diventando sensibili e diffuse, dai consumatori, ai lavoratori fino alle imprese. Si sa con maggiore chiarezza ora che la difficoltà ad abbattere il tasso di disoccupazione attuale non dipende più esclusivamente dal Covid (come ipotizzato fino a qualche settimana fa), ma anche dalla presenza di un crescente salario di attesa; poi, i consumatori che anche per le festività natalizie osservando lo scenario complessivo stanno iniziando a implementare una dinamica dei consumi meno ordinata e più compulsiva: tutto e subito.
– Le piccole e medie imprese che non reggono più all’interno della propria organizzazione di costi l’incremento di prezzi dei fattori energetici e di molte materie prime; non sperimentano nemmeno un’ordinata produzione data ancora la strozzatura sulle forniture di tanta componentistica; c’è poi l’effetto di razionamento di lavoratori e in subordine di lavoratori qualificati dovuti alla presenza di salario d’attesa, prima richiamato.
– Il ruolo del petrolio in sé sia come maggiore fattore esogeno di variazione, sia come proxy col suo prezzo dell’intero fenomeno inflattivo in concomitanza con una data dinamica quantitativa e qualitativa di altri e importanti fattori di offerta (continuamente da osservare e modellare); oltretutto, sta iniziando una “guerra del petrolio”: la politica di Biden nel cercare di contrastare l’Opec +, che è a mio parere fallimentare e pericolosa, già solamente con le azioni iniziali.
Al momento la Fed e Wall Street, e anche la Bce, hanno come schema di fondo il seguente: la ripartenza post-Covid determina strozzature all’offerta per il ripristinarsi della domanda globale, e quindi il successivo riequilibrio, è un percorso che facilmente può essere accompagnato da fenomeni inflattivi; resta come incognita il solo comportamento del virus Covid-19, incognita intesa nel senso della strategia più efficace per debellarlo in maniera sostanziale; ma per ciò che è stato riportato prima c’è a questo punto la preoccupazione di ritrovarsi a breve di nuovo di fronte a problematiche di contenimento del virus più stringenti rispetto alle giornate odierne.
Vanno però evidenziati distinguo importanti: oramai la Fed sta assumendo sempre più toni cautelativi e dubbiosi in relazione all’immagine di sopra, con conseguente cambio di strategia se necessario ed esternazioni dello stesso Presidente Powell di abbandono dell’ipotesi di transitorietà dell’inflazione, mentre la Bce si dimostra ancora sostanzialmente fiduciosa nei proclami, anche se l’eurosistema rumoreggia di voci preoccupate, e in tal senso è da tenere in debita considerazione la valutazione densa di rischi della Bundesbank.
Infine, Wall Street inizia a mostrare fenomeni di isteresi finanziarie, e un tipico campanello d’allarme è dato dalla quotazione dell’oro che segue sia un movimento fibrillato (forti scossoni in su e in giù senza direzioni precise e visibili), sia una tendenza a “svendere” oro, che è del tutto innaturale in relazione agli scenari prossimi.
Il mio dissenso da tale visione di fondo – comunque da me non negata nella sua essenza – è che si sono aggiunte le variabili di politica internazionale citate prima, più forti e inaspettate del dovuto, non attese insomma. Inasprimento della tensione strategica e militare mondiale con la Russia, competizione economica con la Cina più difficile e difficoltosa che inizia a tracimare nello scenario politico; e queste cose le ha liberate il Covid-19 secondo me. Scoperta sul campo da parte degli Stati Uniti di non avere una chiara visione dei propri interessi strategici e del proprio ruolo; un esempio per chiarire: ma la democrazia è ancora esportabile e assoluta oppure no?
In sostanza, un clima turbolento e nebbioso.
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