Mentre i partiti iniziano a scaldare i motori in vista dell’elezione del presidente della Repubblica, riprende quota il dibattito sulla riforma elettorale del Csm, la cui gestione, lottizzata dalle correnti, ha determinato l’implosione del sistema giudiziario.
Sconfessando per la verità molte delle proposte formulate dalla specifica commissione ministeriale che ha lavorato sotto la direzione del prof. Luciani, la ministra Cartabia ha negli ultimi giorni avviato un primo giro di confronto con le forze politiche che compongono l’attuale maggioranza, proponendo un’ipotesi di sistema elettorale che al posto di un unico collegio nazionale prevederebbe sette collegi più piccoli, che eleggerebbero i due candidati più votati. In particolare, dei sette collegi, uno sarebbe riservato ai giudici di legittimità, due per i pubblici ministeri, quattro per i giudici. Il numero dei consiglieri togati sarebbe invariato: quindi per coprire 16 seggi ogni collegio eleggerebbe i due candidati più votati con preferenza unica. Gli altri due posti verrebbero scelti tra i migliori terzi classificati.
La proposta non ha incontrato il favore né della maggioranza dei magistrati né tanto meno dell’avvocatura, facendo emergere la convergente convinzione che quanto ipotizzato dal governo non farebbe altro che favorire il correntismo, rendendo molto ardua l’elezione di un candidato indipendente fuori dalle dinamiche che hanno negli ultimi decenni alimentato ciò che le cronache giudiziarie hanno battezzato come “il sistema Palamara”.
Le componenti della magistratura, tranne qualche eccezione, non hanno infatti lesinato critiche alla strada intrapresa, evidenziando il concreto rischio di lasciare inalterato il predominio delle correnti, strutturando all’interno del Consiglio una sorta di bipolarismo con la conseguente possibilità di rafforzare il peso della componente laica dell’organo di autogoverno. Componente laica, si è osservato, sulla cui selezione nulla viene previsto, ritenendo ciò una grave omissione in considerazione del fatto, non facilmente confutabile, che negli ultimi anni si sia assistito ad un’involuzione nella scelta che il Parlamento ha fatto, passando da professori universitari e avvocati di chiara fama a persone che avevano una esperienza politica da poco conclusa o addirittura in corso.
L’avvocatura, dal canto suo, oltre a non approvare il possibile nuovo meccanismo elettorale ha sottolineato, non senza fondamento, come vada risolto senza ipocrisie il tema dei magistrati fuori ruolo. Su questo aspetto, per quanto è dato sapere, la bozza della ministra accenna genericamente ad una riduzione del numero dei distacchi, rimandando ad un secondo momento i criteri e la percentuale di tale riduzione. Condivisibile quindi il richiamo a operare una riduzione drastica, per non dire prossima all’annullamento del fenomeno, verificando non di meno in quali ruoli occorre con certezza che non vi siano magistrati, per non determinare una commistione tra poteri dello Stato. Anche il famigerato tema delle porte girevoli tra politica e magistratura, come affermato dal presidente dell’Unione Camere Penali, non sembra virare verso idee innovative, al netto della stretta che sicuramente è stata ipotizzata.
Ebbene, cercando di non entrare troppo nel merito, occorre a giudizio di chi scrive rimarcare la considerazione che la riforma si concentra principalmente sul tema del sistema elettorale, che invece non dovrebbe essere considerato un problema assorbente. Non è modificando il sistema elettorale che si ferma la deriva correntizia. È infatti oramai del tutto chiaro che le correnti, che certo non vogliono perdere il potere conquistato sul campo, si organizzeranno in base al sistema elettorale che verrà adottato.
Come più volte evidenziato da queste pagine, per rimediare alla crisi della magistratura occorre convincersi che il vero punto cruciale riguarda le valutazioni di professionalità e il connesso tema della responsabilità. Quanto al primo aspetto, ciò che continua a mancare è un meccanismo di giudizio di professionalità che responsabilizzi il magistrato per gli atti che compie nella sua ordinaria attività. Emblematico che attualmente i pareri positivi superino il 99%.
Sul secondo aspetto, a fronte delle pur formulate proposte di istituzione di un’alta Corte (si veda in particolare Violante), nulla pare essersi mosso, pur senza dimenticare, per questo aspetto peculiare, l’esigenza di una revisione costituzionale che non appare certo di facile realizzazione.
Nella consapevolezza di quanto non sia semplice tradurre queste esigenze in norme chiare ed efficaci, è tuttavia indispensabile che si trovi la voglia e il coraggio di mettere al centro del dibattito questi aspetti, oltre quelli legati alla scelta della migliore legge elettorale. Certo, non si può non osservare che, come era già successo per la riforma del processo penale, anche per la riforma che riguarda la vita del Csm bastano le prime anticipazioni per scatenare le polemiche, nonostante le numerose sollecitazioni rivolte al governo dal presidente della Repubblica ad operare in modo condiviso per un imprescindibile recupero della credibilità della magistratura.
Per quanto allora ci si possa rammaricare nel doverlo dire, allo stato, la montagna ha partorito il consueto topolino.
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