Spiderman e realtà alternative: non è la prima volta che vediamo tale accoppiata trasposta dai fumetti al grande schermo. Into The Spiderverse, film animato del 2018, riuscì non solo a trattare questa dinamica un po’ cervellotica con elegante semplicità, ma con il suo stile grafico innovativo e una storia capace di regalare grandi emozioni si aggiudicò pure l’Oscar come miglior film d’animazione. Spiderman: No Way Home, capitolo conclusivo della trilogia Marvel sul personaggio, tratta situazioni simili, ed è riuscito a suscitare nei fan un’attesa vistasi raramente nella storia di quest’universo cinematografico. Ma le aspettative saranno state ripagate?
Dopo gli eventi di Far From Home, Peter Parker (Tom Holland) vede la sua identità segreta svelata, e nel tentativo di scagionarsi da false accuse chiede allo stregone supremo Dottor Strange (Benedict Cumberbatch) di farla dimenticare al mondo intero. Tuttavia, un errore nell’incantesimo lo porterà a fronteggiare antagonisti storici provenienti da dimensioni alternative, con conseguenze tanto gravi quanto determinanti per la sua maturazione.
Dato che la campagna marketing si è concentrata proprio sul ritorno di questi villain delle saghe precedenti, è opportuno cominciare da loro: mentre alcuni di essi sono rimasti più o meno invariati rispetto alla loro versione originale, come Il Dottor Octopus (Alfred Molina) di Spiderman 2, altri hanno subito un restyling visivo e caratteriale, come l’Electro (Jamie Foxx) di The Amazing Spiderman 2, che rielabora lo sfortunato supercattivo sotto una nuova luce. A troneggiare su tutti è però il Green Goblin di Willem Dafoe, almeno dal punto di vista interpretativo: l’attore riprende in forma smagliante il ruolo ricoperto vent’anni prima, alternando momenti grottescamente esagerati ad altri che sorprendono per la loro delicatezza.
E Spiderman? Si potrebbe temere che con tal fior fiore di cattivi il nostro protagonista passi in secondo piano, ma il nostro supereroe con superproblemi riesce comunque a farsi valere tra alti e bassi. La versione del personaggio in casa Marvel aveva avuto una genesi interessante in Captain America: Civil War e Homecoming salvo arrancare un po’ in Far From Home, dove ha dovuto compiere lo stesso identico percorso affrontato nel titolo precedente. Quest’ultimo titolo soffre un po’ dello stesso problema, ma il suo tentativo di capire cosa siano queste benedette “grandi responsabilità” non è mai stato trattato con tanto pathos: Tom Holland ha avuto finalmente modo di mettersi davvero alla prova, e sfrutta quest’opportunità specialmente nel terzo atto, il cui finale, per quanto debole sul piano logico, lascia la voglia di vederlo ancora in azione. Forse non dovrebbe essere il capitolo conclusivo di una trilogia a suscitare tale sensazione, ma almeno possiamo dire con certezza che la maturazione del personaggio è finalmente avvenuta.
Dal punto di vista visivo il film riserva qualche sorpresa nelle sequenze d’azione, prima tra tutte una che coinvolge il Dottor Strange, la cui magia psichedelica regala sempre spettacolo, e un’altra che si distingue per location e fotografia. Ottimo il lavoro sulla colonna sonora: Michael Giacchino, che ha composto il tema sia di Spiderman, sia del sopracitato stregone supremo, li riprende e li espande, arricchendo i toni del nostro protagonista con la solennità di quelli di Strange, fino a tramutarli in qualcosa di ancora nuovo. Un plauso va anche al ritmo della pellicola, che pur con un primo atto un po’ lento riesce a far passare due ore e mezza circa senza mai annoiare.
I problemi della pellicola sono gli stessi riscontrabili negli ultimi titoli Marvel: le idee per creare qualcosa che vada al di là del cinefumetto standard sono presenti, ma non vengono elaborate al massimo del loro potenziale. No Way Home propone diversi momenti drammatici che danno forza all’evoluzione di Peter, ma vengono indeboliti dal fatto che non si sarebbero mai verificati se il ragazzo avesse tenuto la bocca chiusa mentre Strange faceva i suoi magheggi. Allo stesso modo, il film propone di trattare il tema della redenzione mettendo in primo piano il lato umano di alcuni villain classici; questo inno al dialogo e alla morale degenera sul finale nella classica scazzottata vista e rivista, che si sarebbe potuta tranquillamente evitare se gli eroi si fossero presi cinque minuti per discutere delle proprie divergenze; è un peccato che con una premessa simile ci si ritrovi ad avere come antagonista principale Willem Dafoe che fa le faccette, e le tante piccolezze e banalità che si tende ad abbuonare a film del genere risultano qui estremamente evidenti, proprio perché No Way Home poteva e doveva distinguersi dalla massa.
Ciò rende il film un fallimento? Assolutamente no: se non si è fan della saga Marvel la pellicola si colloca bene o male in mezzo al mucchio, forse un filo sopra, mentre gli appassionati potranno bearsi dei mille riferimenti e momenti fanservice di cui No Way Home è pieno. Perché diciamocelo, questo film è l’equivalente di quando McDonald’s ripropone un panino che non fa da anni e tutti corrono a comprarlo; la cosa diventa ancora più evidente alla luce di certe speculazioni sul ritorno di un paio di amichevoli supereroi di quartiere, che non negheremo né confermeremo in questa sede, ma che hanno trainato le aspettative nei confronti del film. Forse sono proprio le aspettative a plasmare l’opinione che si ha della pellicola: io non mi aspettavo che dalla Marvel uscisse un film tanto originale, fresco e sentito quanto Into the Spiderverse, e da questo punto di vista non sono stato minimamente deluso.
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