Rocco Papaleo ha rilasciato un’intervista ai microfoni del “Corriere della Sera”, nella quale ha ripercorso la sua carriera e i momenti iconici della sua gioventù, a cominciare da quando frequentava le scuole superiori. L’attore ha svelato che “scelsi lo scientifico solo perché stava a Lagonegro, 19 chilometri da Lauria. Dovevo alzarmi un’ora prima, ma mi dava l’idea di viaggiare, avere libertà. Potevo fumare per strada: avevo iniziato l’estate dopo le medie, con mamma, di nascosto da mio padre. Prendevamo il pacchetto, l’aprivamo da sotto, sfilavamo una sigaretta e lo ricomponevamo, affinché lui non se ne accorgesse. Era un gioco, un’intimità spericolata. Con mamma ho avuto un rapporto di gran confidenza”.
Papaleo si è descritto come un bambino felice, figlio unico in una famiglia degli anni Sessanta, con papà impiegato e i parenti a casa nei giorni di festa: “Avevo tutto quello che desideravo o forse non avevo desideri eccessivi. Ero vivace, zia Teresa si ricorda che zompavo dal tavolo al divano. Mi piaceva scherzare, ma non è che si prospettava una vita d’artista”. A scuola era molto bravo in italiano, ma all’università scelse Matematica, soprattutto per andare a Roma, città che nel 1976 per i ragazzi rappresentava l’Eden. “In parte era vero – ha aggiunto –: era tutto più affascinante, anche troppo, tant’è che non ho concluso niente. Davo giusto un esame all’anno per rimandare il militare”.
ROCCO PAPALEO: “SOGNAVO DI FARE IL CANTAUTORE”
Come ha confidato ancora al “Corriere della Sera”, nel tempo libero Rocco Papaleo suonava la chitarra, andava al cinema e non pensava di fare l’attore, al limite il cantautore: “La musica rimane la mia vena principale. Tentai pure Sanremo, ma non mi presero. Morandi mi disse che non volevano attori in gara. L’anno dopo mi chiamarono per affiancarlo e dissi: vengo, però voglio cantare la canzone che non mi avete preso l’anno scorso”.
Tre film da regista e un quarto in arrivo, ma la carriera dietro le telecamere è nata per caso, su invito di Lucherini, dopo una vicissitudine vissuta da Papaleo per andare a un appuntamento con Rita Rusic: “Io abitavo al Pantheon e dovevo andare a viale Platone. Decido di prendere un taxi, provo a prelevare, ma il bancomat era scaduto. Allora, mi faccio prestare una bici, ma sullo stradario non erano segnate le altimetrie, la salita era pesante, la scalo. Arrivo in cima e la strada s’interrompe a un cancello. I passanti mi dicono di fare un giro diverso, era tutta salita, annaspo, sudo. Avevo diecimila lire in tasca, fermo un taxi, mi porta su, la strada è chiusa, torna giù, i soldi finiscono, mi ritrovo al punto di prima: scavalco il cancello e cado in una giungla, mi faccio largo fra i rami, precipito su una specie di rupe, atterro nel viale di casa Cecchi Gori in condizioni pietose e in ritardo. Rita, però, era più in ritardo di me”.