Caro direttore,
questa volta non ti scrivo per raccontarti di arresti, processi farsa, stragi, stupri, suicidi e violenze. Non farebbe neanche notizia: tanti sono gli episodi di violenza che ti ho raccontato in questi 11 mesi senza che nessuno dei tuoi colleghi direttori delle major – che io sappia – abbia ripreso queste notizie di prima mano.
Vorrei raccontarti di come qui si vive il Natale. Innanzitutto una precisazione. Qui e in tutto il Sud-Est asiatico, il Natale è spogliato di qualsiasi riferimento religioso: unicamente la minoranza cristiana (cattolica e protestante) vive con intensità questo momento. Per tutti gli altri è solo il momento per fare regali. C’è Babbo Natale, l’albero di Natale, le luminarie (quest’anno poche) e via così. Per certi versi sembra di essere in Europa. Solo che l’aspetto consumistico qui non è preponderante: è totale. La cosa è paradossale, tanto più se ciò accade in un paese povero, buddista, sotto una dittatura militare vestita di comunismo. Eppure è così. Ma vi assicuro che, per esperienza, questo accade in tutto il Sud-Est asiatico.
Il sentimento qui comunque è ben diverso rispetto al passato. Un anno fa si era reduci dalla vittoria elettorale della Lady, c’era un clima di festa ed euforia. Oggi c’è un mix di tristezza, rabbia, rassegnazione, speranza. Se dovessi rispondere alla domanda “cosa prevale?” risponderei “non lo so”. Nel cuore dell’uomo c’è tutto. Misurarlo è difficile. Perciò quanto sto per scrivere è più una sensazione personale che un dato statistico.
La maggioranza del popolo buddista è affranta. Mentre in passato la gerarchia buddista aveva difeso la libertà del popolo (rivoluzione arancione: cosiddetta per il colore delle tonache dei monaci buddisti scesi per le strade a protestare) oggi pare ritirarsi in una “fede consolatoria” che non basta più. La gente sente questo vuoto. Impressionante. D’altronde il buddismo non è una religione: è una filosofia con riti religiosi. Ora mostra i limiti.
I cattolici, che nel Dna hanno il seme della Resurrezione, di un Dio presente (è Natale: si fa memoria di un Dio incarnato che ha sofferto come noi), hanno una posizione di speranza realista e non utopica o vaga. Questo cambia tutto. L’esperienza cristiana cambia totalmente il modo di affrontare la realtà. Non voglio qui aprire dibattiti su questo tema, ma vi assicuro che ci sono aspetti che noi diamo per scontato ma che, per chi neanche lontanamente non ha “respirato” il cristianesimo, tali non sono.
Devo dire con orgoglio che sono ammirato di quanto i cristiani (cattolici e protestanti) stanno facendo per alleviare le sofferenze di tutti (buddisti, cristiani, islamici). Senza distinzioni. Non avrebbero senso. Men che meno in questo contesto. Qui è in atto un dialogo interreligioso nei fatti.
Non ti nascondo però che la stessa Chiesa cattolica non è compatta sul come opporsi ai militari. Ci sono posizioni dialoganti (per semplicità giornalistica mi riferisco al cardinal Bo) volte a preparare vie di mediazione accanto a posizioni più nette (il popolo e il resto dell’episcopato). Capisco le finalità dei primi: offrire una via di uscita può evitare reazioni estreme di chi dovesse trovarsi senza scampo. Tuttavia nel popolo circola la frase “Non si tratta con chi si è macchiato così tanto del sangue dei fratelli”. Mi permetto di dire che – pur consapevole di tutti i fattori in gioco – una posizione più decisa della Chiesa cattolica potrebbe distinguerla maggiormente dal silenzio delle gerarchie buddiste e accreditarsi come “difensore del popolo”. Cosa che in effetti già è: il lavoro della Caritas, sacerdoti, suore, laici non è cosa da tutti i giorni. Questo per noi è davvero “un cambiamento d’epoca, non un’epoca di cambiamenti”. Un dato è certo: fra i cristiani vedo negli occhi un filo di speranza, negli altri solo rabbia (quelli più coinvolti nella lotta) o rassegnazione.
Ma anche “i rassegnati” provano rabbia verso i militari, verso la Cina (se non è il mandante, quantomeno ha avallato il golpe), verso l’Onu (dimostra una volta di più la sua pochezza, non per colpa sua, ma dei vincoli a cui è legata), l’Asean (che si rifiuta, anch’essa per vincoli statutari, di entrare nei fatti interni dei paesi aderenti, anche in caso di eventi gravi), dell’Occidente (che per meri calcoli politici si limita a dichiarazioni di facciata).
Per quanto riguarda il resto, ti dico solo che il clima di terrore (e quindi con uscite di casa solo se necessarie) ha prodotto meno contagi da Covid e una situazione sanitaria grave (perché non ci sono medicine né ossigeno eccetera) ma non drammatica. C’è una sorta di selezione darwiniana soft. E’ drammatico a dirsi, ma peggio sarebbe affrontare una pandemia vera e propria a mani nude. Pregate per noi. Buon Natale!
Un lettore dal Myanmar
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