Certo che la vita è una grande e continua sorpresa! Chi poteva immaginare solo qualche anno fa che ci saremo trovati ad attraversare un tempo come questo, definito da papa Francesco “Non un’epoca di cambiamento ma un cambiamento d’epoca”, dove l’io è sottoposto a sfide travolgenti che verificano la sua tenuta nel tempo.
La stagione che viviamo ha molte analogie – fatte le dovute proporzioni – con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, dove venne meno un certo ordine di vita. Emigrazioni di popoli, pestilenze, instabilità economica e lavorativa, carestie, crollo morale, ecc., sono alcuni aspetti che possono accomunare la deriva dell’uomo di allora a quella di oggi. Questo crollo delle evidenze si manifesta soprattutto nella perdita dell’autocoscienza. Sciolte le briglie, cioè sganciata dal giudizio di valore ultimo, la libertà è cieca e nel tentativo di realizzare ciò che vuole si smarrisce. Ciò genera l’inquietudine e la violenza, con tutte le sue sfumature, come reazione dell’uomo alla perdita di sé. La nostra volontà, per quanto continuamente rilanciata, non crea la verità, ma la trova; la verità è un dono, è data.
Papa Francesco ha detto recentemente: “Quando noi perdiamo la memoria delle meraviglie che Dio ha fatto nella Chiesa, nel nostro istituto, nella mia vita, perdiamo forza e non potremo dare vita”; e ancora: “Se noi non abbiamo questa memoria deuteronomica (cioè dei fatti storici compiuti da Dio in noi) e non abbiamo il coraggio di prendere da lì il succo per crescere, non avremo neppure germogli… [saremo] senza radici e senza germogli”.
Presi dalla misericordia
Ma come prendere il succo della vita in una terra così arida prodotta da noi? Non è certo da noi che possiamo salvarci, la salvezza viene da fuori di noi, da un Altro che ci ama più di noi stessi. Occorre riconoscersi bisognosi della luce della verità, della sua potenza ordinatrice che guida alla vita, per intercettarne la presenza.
“Così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome, tu mi appartieni… tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo, do uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita” (Is 43,1.4). Che logica strana: io continuo a tradirti e a fuggire lontano da Te, e Tu mi dici: “Tu sei degno di stima e io ti amo”. Ma chi sei Tu?
Questa passione di Dio per noi sue creature è raccontata stupendamente da F. Thompson (un convertito inglese, 1859-1907): Dio non ci dà tregua, non si rassegna alla nostra perdita, ci insegue come un mendicante più povero di noi, fino al momento in cui riesce a prenderci, non per castigarci, o per portarci via qualcosa, ma per darci ciò che abbiamo perduto nella nostra fuga lungo la strada, e che Lui ha conservato per noi, il suo perdono!
“…Ecco, ti fuggono tutte le cose,
poi che tu fuggi Me!
Chi troverai che t’amerà, tu ignobile,
se non Me? Solo Me?
Tutto quel che ti tolsi, sol lo tolsi,
non per recarti danno, ma perché tu potessi ricercarlo nelle mie braccia.
Tutto ciò che il tuo errore di fanciullo immagina perduto,
Io per te l’ho riposto nella casa:
Alzati, prendimi la mano, e vieni!
Sono Io che cerchi”.
Dio sa come cercarci e trovarci, e ci dice: “Prendimi la mano e vieni!”. Questo è il Natale: la nostra libertà recuperata che si attacca alla mano che Gesù ci porge! Senza di Lui, senza la Sua iniziativa che ci dice: “Vieni” noi siamo persi!
Cristo si offre a noi come continua misericordia, una misericordia che non dà tregua! Vuole a tutti i costi il nostro bene, cioè, che noi “siamo”! La forza della nostra persona, per potersi rialzare, non è dunque uno “stato d’animo” passeggero, ma è data dall’appartenenza a quella mano unica e indimenticabile che ci ha salvati e ci accompagna nella storia, come il pastore fa con il suo gregge.
Ci è stato dato un Figlio
Noi siamo ciò che ci è stato dato. Che cosa ci è stato dato per segnare così indelebilmente la nostra identità? Tutta la liturgia del Natale canta questo fatto: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio”… che è l’Unigenito del Padre.
Così sant’Efrem coglie questo mistero: “Che sfacciato sei, o Bambino, che ti getti nelle braccia di chiunque ti vede. È lo stesso se sono ricchi o poveri. Tu cerchi rifugio in loro senza che ti chiamino. Donde ti viene questo essere così affamato degli uomini?”. È da questo essere amati da Cristo, è da questo Tu che riempie di Sé totalmente l’io che nasce un amore e una affezione vera a se stessi, una libertà capace di rispondere al Padre, e un giudizio nuovo: la fede, che riconosce Cristo come lo scopo ultimo presente in tutto ciò che si vive. Questa certezza che la verità è in noi, è con noi, ci rende positivi davanti a tutto, capaci di riconoscere e valorizzare anche un frammento di bene che si incontra. È così eliminata l’estraneità.
Un luogo per rinascere
Dice sant’Agostino: “Cristo è nato perché noi potessimo rinascere”. Il Natale di Gesù è l’avvenimento della nostra rinascita.
La forza del soggetto sta nell’intensità della sua autocoscienza, della sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa, che lo ha generato alla fede. La percentuale di “io” che abbiamo, è data dalla risposta al “Tu” che abbiamo. Tutto si gioca dentro la nostra persona come rapporto con Cristo. Non importa se il contesto intorno a noi sia favorevole o no. Anche se tutto venisse meno – come ai tempi di san Benedetto – non verrà meno la memoria che Cristo ha messo nella nostra carne Sé stesso.
“La vita la si impara seguendo chi vive”, chi è di esempio con la sua vita del cambiamento che Cristo opera in lui. “Sei nella tempesta, irrompono le onde, ma vicino hai una voce che ti ricorda la ragione, che ti richiama a non lasciarti portar via dalle ondate, a non cedere. La compagnia ti dice: ‘guarda che dopo splende il sole’ … In ogni compagnia vocazionale ci sono sempre persone, o momenti di persone, da guardare”.
Occorre pertanto ribaltare il giudizio: non che abbiamo perso ciò che ci è stato dato e ora ci sentiamo impoveriti, ma tutto quello che ci è stato dato ci è stato dato per oggi! Non siamo su un vuoto, ma su una pienezza!
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