Sul fronte Quirinale tutto sembra tacere. E se si eccettua la variante Omicron con il relativo Consiglio dei ministri, parrebbe di essere rimasti all’ultimo evento pubblico di Draghi, ossia la conferenza stampa prenatalizia, quella del “nonno” della Repubblica che si mette “a disposizione delle istituzioni”. Invece sotto la pelle dei giorni natalizi qualcosa sta accadendo, secondo Antonio Pilati, saggista, esperto di comunicazione, già componente di AgCom e Antitrust. Per Pilati siamo alla chiarificazione dei rapporti di forza esistenti. I partiti potrebbero non averlo ancora compreso.
Quali fatti nuovi sono intervenuti?
Il sotto-testo implicito del discorso di Draghi è stato: se non mi volete al Colle, sono disposto a fare il presidente del Consiglio, come la maggioranza di voi mi sta chiedendo, ma solo a condizioni molto precise e molto dure.
È la richiesta che il governo sia sostenuto da una maggioranza ampia.
Draghi chiede uno stato di concordia delle forze politiche che parte dalla maggioranza dell’attuale governo, attraversa l’elezione del presidente della Repubblica e arriva fino al prossimo governo. Mi sembra che le sue parole siano state sottovalutate.
Dov’è la novità?
Quello che conta è il metodo. Sono stati messi in evidenza i rapporti di forza. Draghi ha dettato le condizioni.
Come può farlo un aspirante presidente della Repubblica che, se non eletto, perderebbe anche palazzo Chigi?
È questo il punto. Condizioni si possono sempre porre, dipende se sono velleitarie o realistiche. Le condizioni poste da Draghi sono realistiche perché fotografano i rapporti di forza oggi esistenti.
Quali rapporti di forza?
Quelli tra lui e il parlamento. Draghi è dotato di forte consenso internazionale, è stato aureolato da un’agiografia ininterrotta, sviluppata sia dai media sia dalle forze politiche; è un economista importante. Dall’altra parte abbiamo forze politiche divise, prive di strategia e poco credibili, sia presso gli italiani sia all’esterno.
A Draghi interessa più il governo del Quirinale?
No, a Draghi interessa di più la presidenza della Repubblica. Al tempo stesso, su palazzo Chigi ha posto condizioni così forti che adempierle è un’acrobazia, per questi partiti. Sono condizioni “impossibili”.
Perché impossibili?
I partiti devono garantire a Draghi una maggioranza come quella attuale, concorde e disposta a sottoscrivere i punti programmatici che Draghi intende fissare. Stabilire una formula di maggioranza e condizioni programmatiche sostanzialmente non negoziabili è quasi un atto di forza.
Appunto. Ad impossibilia nemo tenetur. Dunque liberi tutti.
In tal caso Draghi se ne andrebbe. Non avrebbe il problema di cosa fare altrove. I partiti invece si troverebbero con una risultato molto difficile da spiegare all’opinione pubblica sia italiana sia internazionale: aver tolto Draghi dalla scena politica.
Tutto questo quale situazione potrebbe produrre?
Alla fine i partiti faranno come dice: vuoi perché sono deboli, vuoi perché non hanno alternative.
Ad eleggere il capo dello Stato “può essere una maggioranza più larga, non più stretta, altrimenti il governo cadrebbe” ha detto ieri Letta a Repubblica. Ha aggiunto che se andare al Colle toccasse a Draghi, “servirebbe un accordo contestuale anche sul nome del sostituto”.
È la prova che Letta si sta adeguando alle condizioni di Draghi. Con un Pd così diviso in correnti e un alleato politico evanescente, i 5 Stelle, Letta ha poche carte da giocare. In fondo tra quelli eleggibili Draghi è per il Pd il candidato migliore.
E dire che sembrava il candidato numero uno del centrodestra.
Da un lato questo dice la potenza del personaggio. Dall’altro il centrodestra risulta incerto. Quali candidati potrebbe mettere in campo?
Provenzano, vicesegretario del Pd, ha definito Berlusconi una “tragica barzelletta”.
Mi sembra eccessivo, irriguardoso. Resta il fatto che Berlusconi è un candidato complicato. Facciamo un esperimento mentale e togliamo Berlusconi dalla scena: quale sarebbe il candidato diverso da Draghi su cui il centrodestra potrebbe compattarsi?
Casini?
È stato eletto nelle liste del Pd.
La Casellati?
La presidenza della Repubblica è il più importante incarico in Italia ed è molto complesso.
La Moratti?
È stata sconfitta da Pisapia a Milano e non si è più candidata ad alcunché.
Allora si va verso Draghi.
Prima di Natale Draghi ha voluto mettere i partiti di fronte alla loro responsabilità e alla loro debolezza. Il contenuto del colloquio con Salvini fatto filtrare da indiscrezioni probabilmente non di fonte leghista (ieri su Dagospia, ndr) ne è la conferma. È una sorta di maieutica: spiegare ai partiti quello che i partiti non sono ancora riusciti a focalizzare.
Fin qui l’analisi. Il suo commento?
Continuo a ritenere che in questo quadro la stabilità di governo nel 2022 non sarebbe garantita dalla prosecuzione di una legislatura che arranca, ma soltanto dal ricorso alla volontà popolare. Una fatto del tutto fisiologico in democrazia, quando non ci sono maggioranze funzionanti in parlamento.
Se i partiti si prestano al copione che Draghi sembra suggerire, come lei dice, al voto non ci vanno.
E chi l’ha detto?
Cioè secondo lei Draghi potrebbe sempre sciogliere?
Se partiti riluttanti ma impotenti lo eleggono, cosa gli impedisce di fare quello che ritiene più opportuno? Con ciò non intendo dire che Draghi stia già pensando di andare a elezioni anticipate. Per ora non si sa.
Rientrerebbe nel patto che abbiamo delineato?
Attenzione, non c’è nessun patto. Un patto si fa tra forze che hanno analogo potere contrattuale. Qui uno comanda.
Ultima domanda. Il discorso di Mattarella di questa sera potrebbe cambiare il quadro?
Pubblicamente Mattarella ha ripetuto svariate volte di aver concluso la sua esperienza, né ha mai lasciato intendere di volersi accostare alla partita della successione.
(Federico Ferraù)
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