Com’è noto, nell’ormai famoso Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) le risorse dedicate in totale alla missione Digitalizzazione sono davvero imponenti: 43,8 miliardi di euro, dei quali oltre 10 saranno dedicati esclusivamente all’obbiettivo digitalizzazione della Pubblica amministrazione (Pa). Una disponibilità di risorse di questa entità non si era mai vista nella storia della Repubblica.
Questo grande piano, da un lato è motivato dalla posizione di arretratezza dell’Italia sul tema digitale, che non è migliorata in modo significativo negli ultimi anni. Se guardiamo, infatti, l’indice DESI (Digital Economy Society Index) riportato nella figura seguente ed elaborato, ogni anno, dalla Commissione europea, l’Italia nel 2020 si posiziona complessivamente a un poco onorevole 21° posto su 28 Paesi.
Ma altri due dati sono essenziali per capire, nonostante le risorse economiche disponibili, quanto sarà impegnativa e difficile la realizzazione della missione digitalizzazione del Pnrr. I due dati riguardano entrambi il capitale umano, cioè tengono conto della diffusione delle competenze digitali (sia di base che avanzate) nella popolazione e il numero di laureati nel settore ICT in percentuale rispetto ai laureati totali.
Sul primo tema (si veda il Grafico 1) l’Italia si colloca a un poco onorevole terz’ultimo posto tra tutte le nazioni europee, seguita solo da Romania e Bulgaria. Sul secondo tema (si veda il Grafico 2) ancora peggio: l’Italia è all’ultimo posto assoluto come percentuale di laureati nel settore ICT tra tutte le nazioni europee!
Grafico 1: Human Capital Dimension (score 0-100); Source UE, DESI 2021.
Grafico 2: Percentuale di laureati nel settore ICT (source Eurostat, 2019).
Questi due dati pongono, a mio avviso un pesante fardello sulla possibilità di riuscire a implementare la missione digitalizzazione con gli obiettivi e nei tempi previsti. Se è vero, infatti, che questa consapevolezza è ben presente nel Pnrr e, infatti, sono descritti diversi obiettivi per migliorare questa situazione (ad esempio, potenziamento della formazione ITS e STEM, diffusione di corsi on-line sulle tematiche digitali, creazione di un Servizio Civile Digitale di giovani reclutati per assistere la fascia di popolazione più in difficoltà, ecc.) è del tutto evidente che questo enorme divario di competenze non si riuscirà a colmare in pochi mesi ed invece è proprio di queste competenze che avremo assoluto bisogno per implementare il piano nei tempi (stretti) previsti. Da questo punto di vista è indicativa la situazione della Pa dove le competenze digitali sono particolarmente scarse: chi realizzerà i progetti previsti dal piano? Non è possibile affidare tutto all’esterno (sempre che si riescano a fare le gare in tempi utili!), è necessario avere persone interne, competenti e preparate per interfacciarsi correttamente anche con i fornitori.
Anche la possibilità di assumere giovani con competenze ICT per rafforzare la squadra è molto remota. Data la scarsità di laureati presenti sul mercato (come indicato nel Grafico 2), come riuscirà la Pa, che non gode di una grande reputazione come “best place to work” a essere attrattiva rispetto a questi giovani? I primi enti pubblici che si sono mossi in questa direzione hanno già visto concorsi andati a vuoto o con pochissimi candidati.
Un altro grande obiettivo del piano è il passaggio di tutte le applicazioni della Pa in un cloud nazionale. Ottimo obiettivo. Ma anche qui, finché si parla di investire in infrastrutture e tecnologia (reti, server, software, ecc.) si può procedere anche con relativa velocità, ma rimane il tema delle competenze. Oggi in Italia le competenze specialistiche sul dimensionamento e sull’organizzazione di sistemi cloud-based sono particolarmente rare e concentrate in pochi e selezionati operatori, anche di piccole dimensioni.
Dov’è possibile allora trovare il “giacimento” di competenze necessarie e indispensabili per mettere a terra i progetti della missione digitalizzazione? A oggi esso è rintracciabile all’interno delle migliaia di piccole e medie aziende ICT (in particolare quelle che si occupano di software e servizi) che operano nel nostro Paese, oltre che in alcune grandi imprese ICT, società di consulenza e in alcune società in-house di proprietà delle Regioni.
È dunque necessaria una “grande alleanza”, una vera e propria partnership pubblico-privato, a tutti i livelli, per poter coinvolgere, in tempi brevi e senza gli attuali meccanismi infiniti di gestione delle gare, queste imprese che sono le uniche che potrebbero mettere in campo competenze adeguate alla sfida della missione digitalizzazione del Pnrr.
Inoltre, questa “alleanza” potrebbe creare importanti opportunità di business e di crescita per queste imprese che, pur avendo ottime competenze tecnologiche e di prodotto, crescono con fatica in un mercato, come quello italiano, molto povero di opportunità e poco ricettivo all’innovazione.
Oltre a esse sarebbe utile coinvolgere in questa “grande alleanza” anche Università e Centri di Ricerca, in particolare quelli che sono portatori di già comprovate competenze tecnologiche e di ricerca in ambito IT, e che vantano una tradizione di collaborazione virtuosa con le imprese di respiro internazionale.
Da ultimo giova ricordare che lo scopo della missione digitalizzazione non è la digitalizzazione fine a se stessa, bensì la semplificazione e il miglioramento radicale nell’accesso ai servizi della Pa, il miglioramento della efficienza ed efficacia dei processi, la creazione di nuovi prodotti e di nuovi modelli di business.
Non basta spostare le attuale applicazioni sul cloud perché tutto questo avvenga magicamente. Occorre che risorse significative siano investite nella revisione, semplificazione e miglioramento dei processi, nella gestione del cambiamento, nella formazione e nella progettazione funzionale di prodotti e servizi innovativi. Anche gli indicatori di performance da definire e utilizzare per verificare il successo del Piano non dovranno essere basati soltanto sugli “outputs” (risorse spese, tempi rispettati, ecc.), ma soprattutto sugli “outcomes” (benefici ottenuti, in termini di semplificazione, miglioramento dei servizi, innovazione, ecc.). Soltanto seguendo queste linee l’adozione su larga scala degli strumenti digitali potrà costituire una formidabile leva per la crescita e l’innovazione del nostro Paese.
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