Possiamo trovare le risposte per garantire, anche in queste condizioni di permanente emergenza, il corretto funzionamento delle nostre istituzioni democratiche? Prendiamo, ad esempio, il procedimento per l’elezione del nuovo Capo dello Stato, ormai ufficialmente avviatosi con la convocazione fissata per il 24 gennaio alle ore 15. Subito, si è sollevata la questione collegata all’attuale crescita dei contagi: come affrontare l’eventuale assenza di decine o – addirittura – di centinaia di “grandi elettori” in condizioni di isolamento, di quarantena o di auto-sorveglianza perché positivi (sintomatici o meno) o contatti di positivi? Quali reazioni politiche si verificherebbero se queste assenze colpissero in modo più evidente alcuni gruppi parlamentari piuttosto che altri? Queste possibili assenze, infine, potrebbero ostacolare in modo decisivo il raggiungimento degli elevati quorum richiesti dalla Costituzione per l’elezione del Capo dello Stato?
Si è nuovamente proposto, allora, il voto elettronico a distanza. Oppure, si è suggerito di moltiplicare i luoghi di votazione, frazionandoli tra le sedi della Camera e quelle del Senato, e così riducendo i rischi collegati alla concentrazione dei votanti.
Nel primo caso si innoverebbe radicalmente l’interpretazione sinora fornita al requisito della “presenza” – fisica e non meramente virtuale o digitale – dei votanti. Nel secondo caso, si negherebbe un elemento che è sempre stato presente nella procedura quale fattore di garanzia per tutti: l’espressione del voto segreto in un solo ed unico luogo, che è collocato davanti alla Presidenza della Camera dei deputati e, in sostanza, al centro di questa Assemblea.
Soprattutto, in entrambi i casi, andrebbero affrontate e risolte non poche e complesse questioni, collegate alla necessità di assicurare non soltanto la segretezza, la personalità e la libertà del voto, ma anche un aspetto essenziale e indefettibile per la correttezza di questo delicatissimo procedimento elettorale, cioè la parità di condizioni tra i votanti.
Come noto, le esigenze della pandemia hanno condotto alcuni Parlamenti – ivi compreso il Parlamento europeo – a consentire lo svolgimento a distanza delle relative attività, ivi compreso, talora, il voto “da remoto” con modalità elettroniche. In Italia, da un lato, si è deciso di considerare “in missione” anche i parlamentari sottoposti alle varie misure di isolamento causa Covid, e che dunque sono considerati come “formalmente” presenti sia ai fini della diaria che in relazione al raggiungimento del numero legale; dall’altro lato, si è consentito ai parlamentari tutti la possibilità di partecipare da remoto alle sole attività delle Commissioni per le quali non siano previste votazioni, ma si è esclusa ogni partecipazione da remoto alle attività svolte in Assemblea, e tanto meno nel momento delle votazioni.
Al di là di qualsiasi valutazione sul merito delle proposte di cambiamento, è evidente che l’elezione del Capo dello Stato è un procedimento ormai in corso e nel quale si deve applicare, come è previsto da entrambi i regolamenti parlamentari, la disciplina della Camera dei deputati. Dunque, al momento è impossibile cambiare le “regole del gioco” sinora decise ed applicate.
Allo stesso tempo, tenuto conto che il diritto politico di partecipare all’elezione del Capo dello Stato, così come l’interesse costituzionale alla corretta elezione dell’istituzione suprema dell’ordinamento statale vanno garantiti unitamente rispetto alla tutela della salute sia individuale che collettiva, occorre consentire che tutti i “grandi elettori” – ivi compresi coloro che sono positivi o contatti stretti di positivi – possano partecipare in parità di condizioni alla votazione, come sempre si è fatto nelle elezioni presidenziali allorché si sono apprestate le dovute precauzioni ed attenzioni anche per coloro che si trovavano in particolari condizioni di salute. Ad esempio, utilizzando opportune modalità a tutela della salute, nulla esclude che per questi parlamentari si istituisca un apposito percorso di accesso ed uno specifico luogo di votazione in cui siano assicurate le medesime condizioni e riprodotte, con le relative cabine ed urne, le medesime modalità che sono tradizionalmente utilizzate all’interno dell’Assemblea. Facendo poi confluire le relative schede con quelle depositate nelle urne collocate all’interno dei “catafalchi” presenti nell’Assemblea, in modo tale da assicurare la non riconducibilità delle schede all’uno o all’altro luogo di votazione. Così, non solo si potrà rispettare alla lettera il regolamento della Camera là dove, nello scrutinio segreto in caso di elezioni, si prevede espressamente il ricorso ad una pluralità di “urne” (v. art. 49 c.3), ma anche garantire la parità di condizioni tra i “grandi elettori”.
Insomma, possono trovarsi le soluzioni per non trascinare anche l’elezione del Capo dello Stato nel vortice dell’emergenza. Consentire l’espressione del diritto di voto, in condizioni di sicurezza e di parità di trattamento, a tutti i “grandi elettori” significa evitare polemiche e contestazioni che potrebbero delegittimare il futuro inquilino del Colle sin dal momento dell’elezione. Un rischio che non possiamo permetterci.
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