Il confine che conta

Ci sono una secolarizzazione ultima e una religiosità ultima che non dipendono da quante volte si menziona Dio

Non possiamo iniziare il 2022 come abbiamo cominciato il 2021 o il 2019. Siamo in un anno nuovo e da tempo siamo in un momento nuovo. Perciò, non si può capire il mondo dividendolo tra repubblicani e democratici, tra sostenitori del mercato e dello Stato, tra sovranisti ed europeisti, tra pro-iraniani e pro-israeliani. Il confine non è neppure tra chi, con grande generosità, afferma l’oggettività della natura umana e chi, cercando la libertà, scommette sull’autodeterminazione nazionale o di genere. Non è tra i difensori dell’Occidente e i suoi detrattori, né tra i sostenitori della cancellazione e i sostenitori della tradizione, né tra i populisti e i difensori della democrazia, né tra liberali e illiberali. Non è neanche tra coloro che si dicono, in un certo qual modo, religiosi e coloro che si dicono, in un certo qual modo, laici. Tra coloro che vogliono lasciare ai loro figli il tesoro ricevuto separandosi dal mondo e coloro che sanno che non ci sono rifugi. Alcune di queste distinzioni hanno qualche valore, non si può negarlo, altre sono antiquate, sono colpi di vento.

Da tempo è cominciato un nuovo anno. Lo seppe vedere a metà degli anni ’80 Augusto Del Noce, quando rifiutava che si dovesse descrivere il XX secolo come il risultato della lotta tra le forze del progresso e quelle della reazione. La differenza è segnata dalla secolarizzazione. Non abbiamo però detto che la differenza non è tra chi in qualche modo è religioso e chi in qualche modo è laico? Perché parlare allora di secolarizzazione?

Senza dubbio, nella sua definizione tradizionale, la secolarizzazione ha raggiunto tutti. Da molto tempo in Occidente, fortunatamente, le istituzioni e la religione sono separate. La pratica religiosa si è ridotta considerevolmente e anche l’appartenenza a una religione istituzionale si è trasformata in un’opzione tra molte altre. La secolarizzazione nel suo significato tradizionale non fa distinzioni, tutti siamo secolarizzati, lo si voglia o no. Ciò non significa che siamo tutti atei, anzi. Così come tutti siamo secolarizzati nel senso tradizionale del termine, tutti siamo tornati a uno stato pagano, il misterico e l’anelito di espiazione appaiono ovunque. Siamo tornati alla seconda metà del secondo secolo della nostra era: viviamo, come allora, una grande incertezza e un “elevato consumo di nuove religioni”, in quell’epoca asiatiche. Lo spiega con precisione Lipovetsky: l’individuo di questo inizio di secolo, “narcisista, è incline all’angoscia e all’ansia; formato in un universo scientifico e ciò nonostante permeabile, sia pure solo superficialmente, a tutti i gadgets del sentire: l’esoterismo, la parapsicologia, i medium e i guru”.

Nella società teoricamente secolarizzata, in realtà già post-secolare, non solo per l’islam, religiosi e laici si attaccano ai gadgets, agli aggeggi, agli artefatti che appaiono ben disegnati per i momenti nei quali il bisogno di significato si fa perentorio. Succede nelle religioni istituzionalizzate e in quelle create da sé. Possono essere atti di devozione più o meno classici o un momento di comunione con la Madre Terra.

Se siamo già tutti secolarizzati, se abbiamo accettato la trasformazione dei dogmi cristiani in etica, e tutti siamo pagani, che senso ha riprendere la differenza di cui parlava Del Noce?

Ci sono una secolarizzazione ultima e una religiosità ultima che non dipendono da quante volte si menziona Dio. Siamo in un tempo nel quale piovono dei da tutte le parti. Il confine è tra chi pensa, come Marco Aurelio, che le cose e le opere degli uomini sono “fumo e niente”, “un passero che vola, che sparisce prima che possiamo toccarlo” e chi dà loro qualche peso. La secolarizzazione di cui  parliamo non è quella di chi non va a messa o in moschea. È il “discredito della realtà del reale, della dura pietra del dato e della densa carne del fatto, della consistenza di tutta la materia che si può arrivare a conoscere”, alla quale si unisce “la potenza devastatrice che deriva dal raggiungere la realtà dell’irreale” (González Sainz).

Il confine è ora segnato da quelli che dicono “batti cuore … non tutto è stato inghiottito dalla terra (Machado)” e quelli che si sono accontentati di essere “tra due oscurità, un lampo” (Aleixandre). La differenza è tra chi riconosce che ci si è inaridita l’anima, “però non del tutto, non fino all’annichilamento, assetata continua ad andare avanti” (L. Glück) o chi solo desidera essere “il cane di un cane che mi porti a passeggiare” (R. Bandini). Siamo in un anno nuovo.

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