Il 16 gennaio di 49 anni fa a Milano si alzava il sipario su un nuovo teatro. A prendere l’iniziativa erano un autore cattolico, un attore comunista e una regista ebrea. Rispettivamente Giovanni Testori, Franco Parenti, Andrée Ruth Shammah. Nasceva così quello che allora era stato chiamato Salone Pier Lombardo e che oggi è il Teatro Franco Parenti, cioè una delle più importanti realtà culturali milanesi. Perché un teatro nuovo? Il programma di sala di quell’esordio è un appassionato segnale di battaglia. “Questo come legge del teatro”, scriveva Parenti, “mutare per fare teatro, mutare per non essere facitori di spettacoli”. E poi un’allusione al valore della forma societaria scelta: “Una cooperativa: esibiamo una immodesta povertà e quel tanto di follia a volte tenera e irosa che di questa povertà è la fiamma e l’orgoglio”.
Il teatro nasceva in aperta polemica contro l’establishment culturale della città, quello che, come scriveva Testori nello stesso programma di sala, pretendeva che “la luna abbia obbligatoriamente una faccia sola, non importa ripiena dai guasti degli anni, guasti che nessuna plastica riesce a nascondere”. La nuova realtà invece rappresentava l’altra faccia della luna: povera perché tagliata fuori dal sistema delle prebende ministeriali, libera e piena di “baldanzosa giovinezza” (Franco Parenti). Nel mirino c’era naturalmente il moloch del teatro stabile, il Piccolo, realtà vissuta come accentratrice. Parenti veniva da lì e ne era stato una delle colonne, Shammah aveva mosso lì i primi passi, Testori aveva esordito su quel palco con un suo testo con Franca Valeri protagonista una dozzina d’anni prima. Eppure tutti e tre si fanno transfughi, insofferenti di un teatro ritenuto ingessato e immobile.
Se il Piccolo era lo stabile per antonomasia, la nuova compagnia scelse il nome antitetico di Scarrozzanti. Cioè nomadi, con pochi mezzi, senza padroni. C’è una foto simbolo di quell’esordio: è Franco Parenti che esce in proscenio sollevando lui stesso, con le sue braccia, un sipario fatto di tela di sacco, come se fosse un’immensa invenzione di Alberto Burri. Per una volta il sipario non veniva elegantemente aperto come avviene ovunque, ma veniva letteralmente sollevato, con un gesto che ancora oggi, visto nelle foto, ricorda un venire al mondo, un vero inizio. Del resto le prime battute che l’attore pronunciava erano quasi tautologiche: “Inzipit Ambleti tragedia”, nella lingua inventata da Testori per lo spettacolo di esordio, L’Ambleto, appunto. “Inzipit”: iniziava non solo una rappresentazione, ma una storia condivisa, un’avventura, una sfida.
Sono passati quasi 50 anni, ma l’energia e la passione di quell’inizio è ancora testimoniata da Andrée Ruth Shammah che oggi dirige il Teatro Parenti. Sarà lei la protagonista del nuovo incontro (oggi alle 18.30) nel ciclo dedicato a “Testori nella città contemporanea” promosso dal Centro Culturale di Milano. Sarà l’occasione per vedere tre stupendi filmati tratti dagli spettacoli testoriani dei primi anni del Parenti, tra i quali proprio quell’“Inzipit”.
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