Certo, parlare dei dischi di Eric Clapton lasciando fuori quelli fatti con i Bluesbreakers, i Cream, Derek and the Dominos, i Blind Faith è come togliere oltre il 50% della sua produzione musicale e anche la migliore in assoluto. Ma tutti conoscono quel periodo del chitarrista inglese e a torto considerano quei dischi le uniche cose significative che abbia fatto. Sbagliato. C’è un’altra faccia di Clapton spesso trascurata e ancor di più non capita che è quella dove mette in sordina la chitarra e si dimostra elegante cantante e autore di pezzi di grande livello, ancorché sul versante cantautore. Nel 1968 Eric Clapton rimane trafitto dal disco di esordio di The Band, un gruppo anomalo per quei tempi: anche loro lasciano la chitarra solista, nell’epoca in cui è il massimo feticcio musicale, da parte concentrandosi sulle canzoni. A suo modo proverà a fare lo stesso in modo intrigante e riuscito. Spesso Clapton si è lasciato andare alle mode e alle sonorità del momento con risultati sconcertanti, ma almeno dieci dischi della sua lunga carriera meritano di essere riscoperti.
1. Eric Clapton (1970)
L’esordio solista di “Slowhand” coincide con l’esplodere nel chitarrista dell’amore per il country-soul e dei suoi esponenti di spicco, Delaney Bramlett e Leon Russell in particolare. Con il primo si esibisce anche dal vivo e con tutti e due collabora per scrivere le canzoni del suo esordio da solista. Clapton, che già è rimasto estasiato dal disco di esordio di The Band, sente che continuare a essere un dio della chitarra non è abbastanza e vuole provare la strada che poi seguirà per tutti gli anni 70, essere anche un cantautore. Nonostante questo, non mancano le zampate chitarristiche come nell’iniziale torrida jam fiatistica di Slunky, nel rock’n’roll di Blues power e nella conclusiva affascinante Let it rain. Clapton scopre anche JJ Cale di cui trasforma la bluesata After midnight con un irresistibile riff devastanti dei suoi. Senza rendersene conto, Clapton lancia i semi per il capolavoro Layla: tutti i musicisti di quel disco appaiono già qui.
2. 461 Ocean Boulevard, 1974
Clapton ci mette tre anni per uscire dal tunnel della tossicodipendenza in cui si era infilato a causa dell’amore devastante per la moglie di George Harrison, Patty Boyd, la Layla del disco omonimo. Ne esce alla grande, con un disco fresco e brioso che contribuisce all’esplosione del reggae nel mondo, grazie alla cover di I shot the sheriff dell’astro nascente Bob Marley che arriverà in cima a tutte le classifiche. Il disco contiene anche due delle più belle ballate del chitarrista, Give me strenght e Let it grow, la ripresa in chiave entusiasmante del tradizionale Motherless children e quella del suo grande idolo Robert Johnson, Steady rollin’ man. Assoli di chitarra? Quasi nulla. Per la prima volta però prende in mano slide guitar e dobro.
3. Riding with the king, 2000
Avendolo definito “il più grande musicista blues di sempre”, Clapton non poteva non finire per registrare un disco con B.B. King. Sebbene il risultato finale appaia un po’ troppo patinato per un disco di blues, i due insieme fanno scintille in quasi tutti i brani, soprattutto la title track e il “botta e risposta” in Hold on, I’m coming, il classico di Sam & Dave. Clapton si tiene fin troppo indietro, lasciando la maggior parte dello spazio al King, ma anche a ben tre illustri colleghi: Doyle Bramhall II, Andy Fairwather Low e Jimmie Vaughan. Il risultato è comunque godibile nell’interazione tra i due mentre suonano e cantano fianco a fianco: un brillante insegnante e un brillante allievo in un’esperienza sonora maestosa e splendente.
4. Slowhand, 1977
Clapton si autocita intitolando il disco con il soprannome che gli venne dato negli anni 60, per quello stile di suonare la chitarra quasi senza muovere le dita mentre lascia andare una esplosione di note. E’ il disco di Cocaine, il suo maggior successo, ancora una volta pescata nel repertorio di JJ Cale che Clapton ancora una volta trasforma in debordante rock “assassino”. Il resto del disco scorre tranquillo e rilassato, con la ripresa del cantautore John Martyn in May you never e in un divertente uptempo quasi rockabilly, Lay down Sally. Ma Slowhand è anche il disco della bellissima e romantica Wonderful tonight, dedicata all’amore a lungo agognato e finalmente fatto suo, la ex moglie dell’amico George Harrison, Patty Boyd.
5. Unplugged, 1992
Sebbene qualche critico un po’ snob lo abbia definito “blues for yuppie”, il disco è la prima testimonianza di Clapton alla chitarra acustica, con il chitarrista capace di trasformare Layla da ululato di dolore angosciato in un piacevole shuffle. Clapton si muove bene, con eleganza, tra classici del blues come Nobody knows you when you’e down and out, San Francisco Blues e Wakin’ blues, prediligendo le atmosfere country blues piuttosto che quelle del blues in senso stretto. Naturalmente è anche il disco di Tears in heaven, il commovente brano per il figlio morto in un incidente. Il successo sarà stratosferico.
6. The road to Escondido, 2006
Dopo B.B. King, Clapton doveva per forza fare un disco anche con JJ Cale, suo altro grandissimo ispiratore. D’altro canto, Clapton incidendo suoi brani ha permesso letteralmente a Cale di sopravvivere come lui stesso ha ricordato: “Ero povero, non guadagnavo abbastanza da mangiare e non ero un giovane. È stato bello fare un po’ di soldi”. Dei 14 brani incisi, ben 11 sono a firma JJ Cale (Clapton scrive con John Mayer Hard to trill, propone la sua Three little girls e i due includono una cover di Browne McGhee, Sporting life blues). Il disco mantiene le promesse sulla carta, con il contributo di altri assi della chitarra come il giovane Dereck Trucks, John Mayer, e i soliti Albert Lee e Doyle Bramhall II. E’ anche l’ultimo disco in ci appare il leggendario tastierista Billy Preston prima della sua scomparsa. L’unico rimpianto è che i due non abbiamo voluto eseguire in coppia Cocaine: sarebbe stato fantastico.
7. From the cradle, 1994
Sebbene Clapton sia considerato il chitarrista bianco blues per eccellenza, From the cradle è il suo primo disco interamente di brani blues della carriera. Come ormai da tempo, rispetto a quanto faceva negli anni 60, lo spazio alla chitarra solista è limitato, ma questo è il percorso che Clapton, in studio, ha deciso di intraprendere. Per la chitarra, c’è spazio nelle esse straordinarie esibizioni dal vivo. Non gli vengono però lesinato le critiche sulla voce, critiche che lo perseguitano da sempre, definita non all’altezza dei bluesmen originali. Che scoperta: chi può cantare come Muddy Waters se non Muddy Waters?
8. Me and Mr. Johnson, 2004
Se gli originali di Robert Johnson erano abitati da presenze demoniache, la resa che ne fa Clapton allontana ogni diavolo e diavoletto. Rispetto alla devastante rilettura che fece negli anni 60 di Crossroads, qua Clapton, ormai uomo che ha superato la mezza età e che si avvia verso la vecchiaia, è rilassata ed elegante, eliminando ogni eccesso. Non c’è una nota fuori posto ovviamente e gli accompagnatori sono di primissima classe, da Billy Preston alle tastiere a Jim Keltner alla batteria e lo straordinario armonicista Jerry Portnoy, ma l’atteso tributo di Slowhand al suo mentore alla fine lascia un po’ annoiati.
9. Backless, 1978
Un disco di transizione, che spicca più che altro per due brani inediti di Bob Dylan, Walk out in the rain e If I don’t be here in the morning, che l’amico gli regala appositamente, due bei brani rock soul. Per il resto si segnala il buon shuffle energico di Watch out for Lucy scritto interamente dal chitarrista e il divertente rock’n’roll di Tulsa time.
10. No reason to cry, 1976
Sulla carta avrebbe dovuto essere il disco da sempre sognato da Clapton, un album insieme a The Band, quindi un capolavoro. C’è poi anche Bob Dylan che duetta con il chitarrista inglese in un suo bel brano inedito, Sign language. Peccato che a metà anni 70 sia Clapton che il gruppo canadese erano ormai caduti nel buco nero dell’alcolismo, e si sente. Anche Dylan partecipa alle bevute e non riesce ad andare a tempo con l’amico. Il disco ottiene però lo stesso un grande successo mondiale. Da ricordare la bella ballata romantica All our past times scritta e cantata con Rick Danko, la piacevole Old friends, e il pezzo con Dylan, che comunque sa dare i brividi, ruvido e nostalgico come solo lui sa fare.