Nella prefazione l’autore ci comunica come è nato per lui l’amore per la fisica: «Mi sono innamorato della fisica da adolescente. Devo ammettere che mi riusciva facile. Mi sembrava una divertente combinazione di soluzione di problemi e buonsenso e mi divertivo a risolvere le equazioni, a manipolare i simboli algebrici e a usare i numeri per svelare i segreti della Natura. Ma mi rendevo conto che se volevo risposte soddisfacenti alle domande più profonde sulla natura dell’Universo e sul significato dell’esistenza che facevano capolino nella mia mente di adolescente, la fisica era proprio la materia giusta da studiare. Volevo sapere di cosa siamo fatti, da dove veniamo se l’Universo ha avuto inizio e se avrà una fine, se spazialmente limitato o si estende all’infinito.
E cos’è quella cosa chiamata “meccanica quantistica” di cui mio padre mi ha parlato? Qual è la natura del tempo? La ricerca delle risposte a queste domande mi ha portato a dedicare la vita intera allo studio della fisica.» Qui si inserisce una affermazione presente in tanta divulgazione scientifica: «Alcuni si rivolgono alla religione, o a qualche altra ideologia o dottrina per trovare le risposte ai misteri della vita. […] La conoscenza del mondo e del suo funzionamento ottenuta attraverso la scienza (e la fisica, in particolare) secondo me non è solo uno dei tanti modi ugualmente validi, di arrivare alla “verità”: è il metodo affidabile che abbiamo.» Questa frase sembra escludere la categoria della possibilità, una palese contraddizione per chi come l’autore dice di ricercare sistematicamente «un oltre».
Nei capitoli del libro l’autore ci guida poi alle colonne portanti della fisica: la relatività, la meccanica quantistica, la termodinamica. Su queste basi ci dà una rassegna degli sforzi più recenti delle ricerche dei fisici: unificazione, materia ed energia oscura, inflazione e multi-verso. Chiudono il libro due capitoli su La fisica utile e da ultimo sul Pensare da fisico. È indubitabile la capacità dell’autore di parlare di tutti gli argomenti sopra citati in modo avvicinabile anche dai non addetti ai lavori. Due passaggi mi son sembrati particolarmente degni di nota.
Il primo: «Gettare luce sull’ignoto è un’altra buona metafora per descrivere lo sviluppo di teorie e modelli fisici e la progettazione di esperimenti per osservare qualche aspetto del mondo. Quando ci vuole un’idea nuova, ci sono, in generale, due tipi di ricercatori. Immaginate di andare verso casa in una notte buia senza luna e di accorgervi di un buco nella tasca da cui avete perso la chiave. Sapete bene che la chiave sarà da qualche parte lungo la strada già percorsa, quindi tornate sui vostri passi. Ma guarderete solo nei tratti illuminati dai lampioni? Dopo tutto se questi rappresentano solo una frazione della superficie, se la chiave fosse lì, la vedrete sicuramente. Oppure vi mettete a tastare il terreno nelle tenebre tra un lampione e l’altro? Potrebbe essere più probabile che la chiave sia li, ma sarà anche più difficile trovarla. Analogamente ci sono fisici “lampionisti” e fisici “tenebristi”; i primi vanno sul sicuro e sviluppano teorie verificabili mediante esperimenti: guardano dove riescono a vedere. Questo implica che tendano a essere meno ambiziosi nelle proposte di idee originali, ma ottengono ottimi successi nell’avanzamento della conoscenza sebbene incrementale: evoluzione non rivoluzione. Al contrario chi ricerca nelle tenebre propone idee originali e speculative, difficili da verificare. Le probabilità di successo sono più basse, ma i benefici sono maggiori se si indovina, e le scoperte a volte portano a rivoluzione nei paradigmi della scienza.»
Il secondo: «Nel 2017, ho presentato un documentario per la BBC intitolato “Io e la gravità”, in cui analizzavo come la comprensione di questo concetto fondamentale, che dà forma al nostro mondo, si era evoluta attraverso la storia dall’invisibile forza newtoniana alla struttura dello spazio-tempo stesso. La cosa divertente è che avevamo sviluppato una app per il telefonino che registrava la posizione dell’utente mediante le sue coordinate GPS (latitudine, longitudine e altezza sul livello del mare) a intervalli regolari e poi calcolava a che velocità passava il tempo. Secondo la relatività generale, il tempo scorre a velocità diverse a seconda del campo gravitazionale in cui ci si trova. In cima a una montagna si è più lontani dal centro della Terra rispetto a chi sta al livello del mare, e quindi il montanaro percepisce una forza gravitazionale leggermente più debole. Questo significa che il tempo in cima alla montagna scorre un po’ più velocemente rispetto al livello del mare. È un effetto minuscolo: meno di un millesimo di miliardesimo di secondo ogni secondo […]. Per creare l’app dovevamo tenere conto di un altro fattore […] gli orologi in movimento restano indietro rispetto a quelli fermi. Quindi si può rallentare il tempo anche muovendosi. È un effetto ancora più piccolo di quello dovuto alla gravità, poiché non abbiamo l’abitudine di spostarci a velocità vicine a quelle della luce a cui l’effetto diventa apprezzabile. Ciò nonostante l’app teneva conto del movimento controllando la posizione dell’utente a intervalli regolari e se l’utente si spostava calcolava la velocità a cui aveva viaggiato. E arriviamo al punto cruciale.
Il nostro pianeta non è una sfera perfetta: si rigonfia un po’ all’equatore. Quindi chi sta all’equatore è più lontano dal centro della Terra di chi sta al polo (di circa 22 km) e pertanto proprio come il montanaro, sentirà una forza di gravità minore. Perciò gli orologi al polo dove la gravità è più forte, dovrebbero andare più lenti di quelli all’equatore secondo la regola della dilatazione del tempo dovuta alla relatività generale. Però la Terra gira, e gli orologi all’equatore si muovono più velocemente di quelli al polo […]. Questi due effetti, dovuti alla relatività, ristretta e generale, sono uno opposto all’altro: chi vince? […]. Tutti questi calcoli erano incorporati nell’app che implementava le mie formule. Un’entusiastica campagna sui social media fece sì che migliaia di persone scaricassero l’app […]. Il mio produttore […] appena prima del doppiaggio per la trasmissione televisiva […] mi disse che aveva letto su un forum di fisica su internet che forse avevo sbagliato i calcoli. Mollai tutto quello che stavo facendo e ricontrollai i miei conti. Scrissi anche a una mezza dozzina di colleghi per verificare. Era vero. Avevo fatto un errore.
I due effetti (il rallentamento del tempo al polo dovuto alla gravità più forte, e il rallentamento all’equatore per la maggiore velocità) si cancellano perfettamente. Di fatto tutti gli orologi al livello del mare vanno alla stessa velocità sulla Terra e il tempo che misurano si chiama “tempo atomico internazionale” […]. Lo dissi al mio produttore, che immediatamente chiese alla BBC di ritardare la trasmissione. La soluzione più semplice sarebbe stata naturalmente di girare di nuovo le scene in cui descrivevo il funzionamento sbagliato: nessuno se ne sarebbe accorto. Ma ben presto mi resi conto che avevo una splendida opportunità di mostrare come funziona la scienza. Invece di coprire il mio sbaglio, avrei dovuto ammetterlo per mostrare che, da scienziato, si possono fare degli errori […]. Quindi girammo alcune scene in cui confessavo il mio errore in tutta la sua gloria e spiegavo perché le mie formule erano sbagliate. Questa ammissione non richiese particolare coraggio o forza di carattere da parte mia, perché fare errori è normale nel progresso scientifico: sono inevitabili e dagli errori si impara».
Jim Al-Khalili
Il mondo secondo la fisica
Bollati Boringhieri, Torino 2020
Pagine 178 euro 18,00
Recensione di Renzo Gorla