Una donna ha fatto causa a Instagram e Snapchat (o meglio, alle società che li posseggono, vale a dire Meta e Snap) in seguito alla morte per suicidio della figlia Selena, 11 anni. La ragazzina era residente a Enfield, in Connecticut, e si è tolta la vita lo scorso 21 luglio. La madre, Tammy, ritiene responsabili i social della sua scomparsa e, servendosi del sostegno offertole dal Social Media Victim Law Center, ha deciso di adire le vie legali.
La vicenda viene riportata dal “Corriere della Sera”, che pubblica anche alcuni stralci del documento depositato in un tribunale federale della California; in esso, si legge che la giovane era estremamente dipendente da Instagram e Snapchat. “In molte occasioni – recita il testo – Selena ha ricevuto cure per la sua dipendenza. Una terapeuta che ha avuto modo di valutarla ha dichiarato di non aver mai visto una paziente così dipendente dai social media”. La mamma ha inutilmente cercato di sequestrare lo smartphone alla bambina, che, nel contempo, aveva iniziato ad accusare insonnia e depressione, complice anche l’isolamento da pandemia. Inoltre, la ragazzina era esposta a contenuti di sfruttamento sessuale, che condivideva sui suoi profili: “Entrambe le società hanno progettato e commercializzato in modo consapevole prodotto dannosi per un numero significativo dei loro utenti minorenni”.
FIGLIA SI SUICIDA, MADRE FA CAUSA A INSTAGRAM E SNAPCHAT: IL PRECEDENTE (NON LEGALE) DEL 2017
Resta da capire, adesso, quale sarà l’orientamento del giudice sulla causa contro Instagram e Snapchat intentata dalla madre della piccola Selena. Non si tratta, peraltro, di un unicum a livello globale, dato che nel 2017 il padre di Molly Russell, che si tolse la vita a 14 anni, puntò il dito contro i social media. Come ricostruito dal “Corriere”, sulla bacheca dell’adolescente campeggiavano immagini in bianco e nero, ritraenti spesso braccia tagliate, e, attorno ad essa, gravitavano profili imperniati sulla depressione, sull’autolesionismo e sul suicidio.
Il genitore si rivolse quindi alla Bbc, dicendo: “Instagram ha spinto mia figlia ad uccidersi“. Facebook intervenne prontamente e aggiornò l’algoritmo del social, così che venissero oscurati i contenuti che istigavano al suicidio.