Due colpi di scena in pochi giorni hanno riguardato ITA, la nuova compagnia aerea pubblica che vola dallo scorso ottobre e di cui non si era più molto parlato dal decollo. Il primo è stata la rivelazione da parte del presidente Altavilla dei risultati economici dei primi mesi di volo, fatta in due tempi in occasione di una doppia audizione presso la commissione Trasporti della Camera. Abbiamo così appreso che ITA perde molti più soldi della vecchia Alitalia in proporzione alle sue dimensioni e, anche se non dubitavamo che ciò sarebbe avvenuto, saperlo così presto, ad appena tre mesi dal debutto, è stata un’autentica sorpresa.
Il secondo colpo di scena è l’annuncio dato da ITA della manifestazione di interesse all’acquisto della maggioranza delle azioni da parte del gruppo marittimo MSC, controllato dalla famiglia Aponte, noto al grande pubblico per le navi da crociera. La manifestazione d’interesse sarebbe avvenuta in accordo col gruppo Lufthansa, che entrerebbe nella cordata come partner industriale. Nel progetto è previsto che il Governo italiano mantenga una quota di minoranza all’interno della società. Secondo il comunicato stampa di ITA, che valuterà in una prossima riunione del consiglio di amministrazione i dettagli della manifestazione di interesse, i due offerenti hanno chiesto tre mesi di esclusiva per verificare con due diligence la manifestazione d’interesse.
Il controllo della maggioranza del capitale di ITA da parte della capogruppo MSC non è compatibile con le regole europee, trattandosi di una società svizzera, tuttavia sarebbe sufficiente un 51% come somma della quota di Lufthansa e di quella del nostro ministero dell’Economia e delle Finanze per rispettare il vincolo della maggioranza in capo a soggetti comunitari. Lufthansa a sua volta non ha più il divieto di acquisizione di altri vettori, che le era stato imposto dall’Ue quando aveva autorizzato nel 2020 la ricapitalizzazione dell’azienda e un insieme di prestiti a garanzia pubblica per oltre 11 miliardi complessivi di euro durante la crisi Covid, considerati aiuti di Stato. Il gruppo, infatti, ha restituito, ma in realtà rinunciato ad avere, oltre il 75% degli aiuti concessi, in gran parte inutilizzati, a dimostrazione della loro non necessità e di quanto fosse stata generosa nei suoi confronti la Commissione Ue. La notizia di un ingresso di Lufthansa, ipotizzata al 40%, era già emersa nei giorni scorsi, ma prontamente smentita. E nell’occasione non figurava in alcun modo MSC, che è ora una novità assoluta.
In sostanza l’operazione annunciata è tecnicamente fattibile, non in contrasto con le regole vigenti. Ma è anche opportuna e vantaggiosa per chi la propone? Valutiamola dapprima dal punto di vista di Lufthansa. Chi spiegherà l’operazione agli azionisti del grande gruppo tedesco e ai sindacati dei lavoratori, che vigilano in qualità di membri del Consiglio di sorveglianza? Prima del Covid, nel 2019, il gruppo ha fatturato oltre 36 miliardi di euro e realizzato margini industriali per 1,9 miliardi, ma nel 2020, per gli effetti della pandemia, i ricavi sono scesi sotto i 14 miliardi, a fronte di costi industriali per quasi 21 e un margine negativo per oltre 7. Nei primi nove mesi del 2021, infine, i ricavi sono stati quasi identici a quelli dello stesso periodo dell’anno precedente e solo il contenimento dei costi ha permesso di contenere le perdite in 2 miliardi ulteriori, destinati ad avvicinarsi ai 3 nell’intero anno. Possibile che con questi numeri possa essere interessata ad acquisire un’azienda come ITA, erede di un’altra, Alitalia, che è stata in perdita strutturale per oltre vent’anni? E infatti non sembra così intenzionata.
La compagnia tedesca ha infatti ribadito, interpellata dal Sole 24 Ore, di essere per ora interessata solo a una partnership commerciale mentre un’eventuale partecipazione al capitale è ipotizzabile solo nel lungo periodo: “Solo MSC ha manifestato interesse ad acquisire una quota di maggioranza di ITA. Lufthansa, come ha sempre detto, è interessata ad essere solo partner commerciale e industriale di ITA, non ad acquisire una partecipazione azionaria”. Questa è la risposta che è stata data al Sole 24 Ore.
A questo punto è chiaro come l’offerta sia partita e abbia come attore principale proprio MSC, nota al grande pubblico per le navi crociera, con cui fattura ogni anno poco meno della vecchia Alitalia ante passaggio a ITA, ma principalmente azienda di trasporto marittimo container, segmento di cui è uno dei maggiori operatori a livello mondiale. Trattandosi di un gruppo di grandi dimensioni e a elevata profittabilità è indubbio che abbia tutte le caratteristiche finanziarie per essere in grado di farsi carico di ItA. Tuttavia la domanda chiave resta quella già posta per Lufthansa: le conviene?
Ad avviso di chi scrive la risposta è negativa e questo per due ragioni. In primo luogo, le sinergie con le attività industriali di MSC sono molto limitate: per fare feederaggio aereo dei terminal crocieristici sono sufficienti accordi commerciali coi vettori aerei, che in realtà già esistono, mentre l’attività di trasporto aereo cargo riguarda beni ad alto valore in rapporto al peso, dunque l’opposto di quelli che viaggiano nei container, ed è molto remunerativa in questo periodo proprio per il fatto che molti voli a lungo raggio sono stati soppressi a causa del Covid e dunque le merci che prima viaggiavano nello loro stive devono ora trovare posto su voli solo cargo. In sostanza, il segmento cargo è così remunerativo per le stesse ragioni per cui quello passeggeri è in forte perdita. In secondo luogo, le perdite dei primi mesi di ITA si sono rivelate ben maggiori rispetto a ogni più pessimistica previsione e dovrebbero pertanto essere tali da far allontanare anche il più fanatico imprenditore amante del volo aereo.
Questi numeri sono stati dati dallo stesso presidente di ITA Altavilla in due diverse sedute di un’audizione presso la commissione trasporti della Camera Nella seconda ha infatti dichiarato che l’Ebit, il risultato industriale, è stato negativo nell’esercizio 2021 per 170 milioni, mentre nella prima aveva indicato i ricavi in 88 milioni. Sommando le due cifre si ricava che Ita ha sostenuto nei due mesi e mezzo finali del 2021 un totale di 258 milioni di costi industriali, di cui solo 88 milioni recuperati coi ricavi e gli altri 170 perduti. In sostanza per ogni euro di incassi ha avuto tre euro di costi e due di perdite. Quale altra azienda “di mercato” ha valori simili? Non dimentichiamo che l’Alitalia statale dei primi anni 2000, che fu ceduta nel 2008 ai famosi capitani coraggiosi, aveva circa 9 euro di ricavi ogni 10 di costi e che l’ultima Alitalia privata, gestita prima da Etihad e poi dai commissari straordinari, aveva circa 5 euro di ricavi ogni 6 di costi.
Dato che i passeggeri trasportati da Ita nel 2021 sono stati 1,26 milioni, l’incasso medio pro capite è stato solo di 61 euro, un importo da vettore low cost medio che non sorprende. Infatti ITA opera quasi esclusivamente su rotte nazionali ed europee sulle quali subisce la concorrenza dei low cost e pertanto i prezzi che può praticare quelli imposti dai concorrenti. Se dividiamo i passeggeri totali per i voli effettuati vediamo che essi non raggiungono gli 80 per volo, la metà esatta della capienza media della flotta utilizzata in questo periodo. A questo punto possiamo chiederci come sarebbero andati i conti di ITA nell’ipotesi migliore ipotizzabile, quella totalmente teorica e impossibile di riempire al 100% tutti i voli effettuati. In questo caso i ricavi sarebbero stati doppi a parità sostanziale di costi e ITA avrebbe recuperato coi ricavi due terzi dei costi sostenuti anziché uno solo, perdendo il terzo residuale. Anche in questa ipotesi estrema il grado di recupero dei costi sarebbe stato il peggiore tra tutte le Alitalia, pubbliche e private, a cui abbiamo assistito nel corso del tempo.
Queste cifre dimostrano che ITA è un progetto industriale senza senso e stupisce che un Governo con notevoli competenze economiche ai suoi vertici non lo abbia compreso.
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