Esattamente due anni fa, era il 26 gennaio del 2020, moriva il compianto Kobe Bryant, cestista dei Los Angeles Lakers nonché uno dei giocatori di basket più grandi di tutti i tempi. Oggi, a 48 mesi esatti da quella tragica data, esce il libro scritto da Christopher Goldman Ward, varesino classe 1977, e amico del Mamba da quando quest’ultimo aveva 11 anni: «Ero in casa quel 26 gennaio 2020 – ricorda Ward, come riporta VanityFair.it – in cucina, a cena con la mia famiglia. Era una serata normale. Ricordo tutto molto nitidamente – odori, colori e stati d’animo – fino a quel momento, alle 20.25, quando il mio telefono cominciò a impazzire di messaggi in entrata».
Fra i tanti messaggi, ve ne furono molti anche di cordoglio, visto che chi conosceva Kobe Bryant sapeva che Ward era il suo miglior amico italiano. «Un’amicizia nata da bambini, quella fra Kobe e me (il cestista è cresciuto a Reggio Emilia, proprio come lo scrittore ndr), e che poi ha resistito superando gli anni e la distanza. Il ricordo non si ferma, ritorna forte, è un’emozione che diventa quasi piacevole. D’ora in poi esisterà, per me e per molti, una vita pre-Kobe e una vita post-Kobe».
KOBE BRYANT, IL RICORDO DI WARD: “LA SUA MORTE? L’UNICO BALSAMO FU…”
E ancora: «Nel frastuono e nello stordimento di quei giorni assurdi, ricordo che l’unico balsamo per la mia anima era il riconoscimento dell’amore che il mondo provava (e prova) per Kobe. Per il mio amico. Le esternazioni pubbliche e private dimostravano una grande reazione comune di profonda tristezza e incredulità». Ward e Kobe Bryant si sentivano pochissimo e non si vedevano con regolarità, e forse proprio questo fu uno dei segreti della loro grandissima amicizia: «Uno dei segreti della longevità della nostra amicizia sta proprio nel fatto stesso che non ci vedessimo o sentissimo regolarmente. Chi ha conosciuto Kobe lo sa: era un tipo particolare, fatto a modo suo. Si dice che non avesse amici e in un certo senso è vero: sono convinto che Kobe Bryant, il Black Mamba, non ne avesse. Kobe il reggiano, invece, ne aveva eccome. Ne aveva una, due, forse tre città piene».