La conferma di Sergio Mattarella al Quirinale ha spinto molti analisti a evocare la sindrome del gattopardo, ma questa volta dovremmo dire niente cambia affinché tutto cambi. Il Mattarella bis non è il replay del Napolitano bis. È vero che oggi come allora il sistema politico non è stato in grado di assicurare un fisiologico ricambio, però l’intero equilibrio è profondamente diverso, a cominciare dalla frantumazione di tutti i partiti. Al loro interno comincia già una resa dei conti che sarà probabilmente molto pesante nella Lega e nel Movimento 5 Stelle. Mentre a destra è tutta da ricostruire una coalizione che sia in grado di vincere tra un anno le elezioni, a sinistra l’alleanza Pd-M5s è tutta da rifare. Una nota positiva è che il Parlamento, cominciando a votare in modo massiccio per Mattarella, ha suonato la sveglia. Non sappiamo se si tratta di un moto spontaneo, per dire basta ci siamo stancati, o se c’è stata una regia. In apparenza i gruppi parlamentari si sono dimostrati più accorti dei loro capi, in ogni caso è anch’esso un segno che i partiti si sono sfarinati.
Oggi, tuttavia, la differenza più profonda con il passato è che il Mattarella bis porta con sé, di fatto, un Draghi bis e apre la strada a un rimescolamento politico che di qui alle prossime elezioni si presenta pieno di incognite. Smentita dopo poche ore la possibilità che Giancarlo Giorgetti si dimetta, anche se l’esecutivo restasse in sostanza lo stesso, pur dopo un necessario rimpasto, avrebbe bisogno di una vera e propria ripartenza, più di un tagliando, molto di più.
Mentre da oltre un mese il teatro politico è dominato dal gran gioco del Quirinale, l’intero scenario è cambiato profondamente. Sono cambiate le quinte internazionali con la minaccia di guerra guerreggiata nel cuore dell’Europa. È cambiata la congiuntura economica, perché la fine della moneta facile, anche se sarà gestita in modo cauto e controllato, ha un impatto molto pesante sull’Italia indebitata come non mai, piena di “debito cattivo” che spiazza quello “buono”; senza trascurare le conseguenze dell’inflazione da costi sui redditi e sulla produzione. Sia il ministro dell’Economia Daniele Franco, sia la Banca d’Italia hanno lanciato il loro avviso: la crescita che l’anno scorso è stata più forte del previsto, quest’anno potrebbe diventare inferiore alle previsioni fatte in precedenza, già si parla di un Pil che cresce del 3,8% invece che il 4,3% stimato in precedenza.
È cambiato anche il quadro sociale, perché stiamo facendo i conti con le lacerazioni provocate dalle nuove ondate della pandemia: c’è ancora bisogno di aiuti, sostegni, di assistenza, proprio mentre appaiono più stretti i margini di manovra del bilancio pubblico. Il Pnrr non è stato ancora “messo a terra” come si dice con espressione di moda ed emergono chiaramente i lacci e laccioli di una Pubblica amministrazione inadeguata, di un divario digitale e tecnologico difficile da colmare, mentre quello territoriale si è approfondito ancora di più. A tutto ciò va aggiunta una frattura culturale la cui manifestazione più evidente è nella patologia intellettuale espressa dai nuovi negazionisti, tutti coloro che non respingono solo il vaccino, ma il principio che la convivenza civile in una società aperta e democratica si basa sulla ragione, sull’onere della prova, sulla realtà, sulla verifica dei fatti, sulla ricerca del bene attraverso il male minore.
Nessun Governo può naturalmente lenire tutte queste ferite, tanto meno in poco tempo. Tuttavia i due presidenti, il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, dovranno affrontare le conseguenze dei vecchi problemi irrisolti e le ricadute dei nuovi problemi che già si sono presentati con prepotenza davanti alla politica e alla società italiana.
Anche se quello del ministro per lo Sviluppo economico fosse solo uno sfogo in un momento di amarezza per come ha operato Matteo Salvini, sarebbe la spia di una situazione politica quanto mai difficile, di un clima che si è fatto rovente. Lo diventerà ancor più a mano a mano che si avvicineranno le elezioni previste nella primavera del 2023. Intanto, l’esecutivo è chiamato ad affrontare le nuove emergenze prima ancora che sia finita quella sanitaria.
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