Il ministro per le Politiche giovanili assieme al ministro del Lavoro e delle Politiche sociali hanno presentato un piano di iniziativa per l’emersione e l’orientamento dei giovani inattivi, i neet, giovani che non risultano impegnati né in percorsi di formazione o scolastici, né in attività lavorative.
Il documento ha il pregio di avviare un’analisi della composizione dei neet del nostro Paese a partire dall’individuazione di una condizione di vulnerabilità che colpisce storicamente i giovani che arrivano al mercato del lavoro. Alla fragilità storica si è aggiunto l’effetto della pandemia in corso. Fra le tante asimmetrie con cui la crisi sanitaria ha colpito il mercato del lavoro vi è da rilevare anche quella generazionale che ha reso ancora più difficili i percorsi di inserimento lavorativo dei giovani.
Fra i già occupati all’inizio della crisi i giovani risultano fra i più colpiti dai mancati rinnovi dei contratti a termine. A ciò si deve aggiungere che la frenata della domanda di lavoro ha reso più difficile gli inserimenti al primo impiego con basso titolo di studio. Anche per quei giovani che avrebbero avuto maggiori probabilità di inserimento le difficoltà sono aumentate e spesso hanno trovato un ostacolo al riconoscimento pieno delle loro qualifiche formative creando assurde situazioni di sovraistruzione.
È dentro questa già difficile situazione che si inseriscono poi quei giovani che risultano assenti sia nei percorsi di studio e formazione, sia dai luoghi di lavoro.
Una prima quantificazione porta a considerare neet più di 3 milioni di giovani compresi fra i 15 e i 34 anni. Rappresenterebbero il 25,1% dei giovani italiani compresi in quell’intervallo di età. Questo dato colloca il nostro Paese al quartultimo posto nell’Ue a 27.
Scomponendo per fasce di età fra i 15 e i 19 anni, i neet sono 1 su 10, salgono a 1 su 3 fra i 20 ed i 24 anni. È in queste fasce di età che il nostro Paese ha tassi superiori al 70% rispetto alla media europea.
Con riferimento al genere la prevalenza femminile cresce con il crescere dell’età. Nei due primi gruppi la divisione è pressoché al 50%, mentre dopo i 25 anni i neet donne passano dal 60 al 66% del totale.
Ma i neet sono proprio disinteressati al mercato del lavoro? Non proprio visto che un milione risultano disoccupati, ossia impegnati nella ricerca attiva di un’occupazione. Due milioni sono quelli che risultano inattivi e fra questi ben il 75% sono donne. Influisce certo su questo dato la condizione famigliare. Prendendo la fascia di età 15-29 anni si dichiarano genitori in 178 mila e di questi sono madri ben 161 mila. Le stesse proporzioni si registrano per neet italiani o di altra nazionalità. Questo dato fa sì che il 26% delle donne neet è madre e in grande maggioranza inattiva mentre solo il 2% dei maschi è padre.
Dal punto di vista geografico anche la distribuzione dei neet (dati 15-24 anni) segue gli altri squilibri che caratterizzano il nostro mercato del lavoro. Nelle regioni del nord registriamo un tasso inferiore alla media europea che è del 15%, il centro ha poco più della media europea, mentre la superano ampiamente, in alcuni casi lo doppiano, tutte le regioni del sud.
Alla base della composizione dei neet vi è l’abbandono dei percorsi scolastici e formativi. Ancora nel 2020 il 13,5% dei giovani fra i 18 ed i 24 anni ha interrotto presto il proprio percorso di istruzione. Alla base si conferma che mancano completamente politiche di sostegno per chi parte più svantaggiato. La probabilità di contribuire all’abbandono scolastico è del 24% per giovani provenienti da famiglie con solo la scuola dell’obbligo (scuola secondaria inferiore), scende al 5,5% per chi ha genitori diplomati ed è dell’1,9% per chi viene da famiglie con laurea.
Provenienza da famiglia a basso reddito e con bassa formazione scolastica sono le condizioni sociali primarie che contribuiscono a formare il grosso dei neet del nostro Paese. Ovviamente lo scarso rendimento scolastico, provenienza extracomunitaria, presenza di disabilità e vivere in una zona isolata aggiungono difficoltà alle condizioni di base.
A questa analisi introduttiva che cerca di definire meglio la composizione dei neet italiani non segue però una proposta di intervento all’altezza dell’analisi. Ben due periodi di intervento con il programma Garanzia giovani hanno prodotto alcuni risultati occupazionali, ma è evidente che hanno inciso poco sulle realtà sociali più significative.
Il progetto presentato cerca di affrontare il tema con un’attenzione alle realtà territoriali e sociali più marcata. Anche l’impegno all’estensione dei programmi europei di circolazione delle esperienze giovanili ha una certa rilevanza. L’esperienza di Erasmus può certamente estendersi a percorsi duali e di apprendistato rafforzando la formazione professionale.
La debolezza di questo come di altre elaborazioni presentate dal ministero del Lavoro in questi mesi è l’assenza di un disegno generale che riguardi le politiche attive del lavoro. Si privilegiano le analisi di singoli target di intervento, i giovani, le donne, gli ultra 50enni, ecc., ma non si traccia il disegno generale dei servizi di politica attiva che dovranno accompagnare la realizzazione del Next Generation Eu. Anche per i neet la soluzione è inserire sui Centri per l’impiego un po’ di nuovi impiegati e fare sportelli di servizio dedicati a misure specifiche per i neet. Con quale probabilità che ciò coinvolga la rete di operatori del sociale del territorio per vincere la diffidenza che finora ha tenuto i neet lontani da ogni proposta istituzionale non si sa. E inoltre se alla base c’è ancora il forte abbandono scolastico, come si può tacere davanti a un sistema di formazione professionale che premia ancora in troppe regioni i formatori invece dei giovani che chiedono percorsi alternativi alla scuola?
Creare un sistema di servizi al lavoro universali su cui innescare le politiche per i singoli target si rivela sempre più come una decisione non rinviabile. Assieme deve essere previsto il potenziamento del sistema duale per dotarci di un sistema di formazione professionale all’altezza delle necessità della transizione produttiva in corso.
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